In tre anni i riti alternativi al processo sono più che triplicati ma la loro diffusione potrebbe essere ancora maggiore. Il numero di domande che riguardano la giustizia alternativa in Italia - dunque conciliazione e arbitrati amministrati - è più che triplicato, passando dalle 15.916 del 2005, alle 26.896 del 2006 fino alle 50.808 del 2007. Nel 2007 le domande di conciliazione rappresentano il 98% di tutte le domande di giustizia alternativa e la maggior parte riguarda controversie fra un'impresa e un consumatore, generalmente promosse dal consumatore stesso. E iniziano a comparire i primi casi di conciliazione online. Sono i risultati principali del Secondo Rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia, presentato oggi a Milano e realizzato da Unioncamere, Camera di Commercio di Milano, Camera Arbitrale di Milano insieme a ISDACI (Istituto per lo studio e la diffusione dell'arbitrato e del diritto commerciale internazionale).

Negli ultimi tre anni, rileva dunque lo studio, è più che triplicato il numero globale delle domande inerenti il ricorso agli strumenti di giustizia alternativa, proveniente sia dal mondo delle Camere di commercio, sia da tutti gli altri operatori che non fanno capo ad esse, passando da 15.916 del 2005, a 26.896 del 2006 e 50.808 del 2007. La durata dei procedimenti è in media di 70 giorni per una conciliazione e di 138 giorni per un arbitrato amministrato. Quasi tutte le tipologie di conciliazione, nel 2007, sono risultate gratuite.

In tema di valore dei procedimenti, per le conciliazioni quello medio è di 17.555 euro (per le conciliazioni presso i Corecom è di 340 euro), mentre per gli arbitrati è di 132.300 euro (ma per la Camera dei Lavori Pubblici e la Camera Arbitrale di Milano il valore medio supera i tre milioni di euro).

Nel 2007 le domande di conciliazione rappresentano il 98% di tutte le domande di giustizia alternativa, quelle di arbitrato solo l'1%. In particolare, c'è una preferenza per la conciliazione presso i Corecom (33.167 domande) e presso le Camere di commercio (che dal 2005 al 2007 hanno più che raddoppiato il volume delle conciliazioni gestite, passando da 6.034 a 14.183). Il maggior numero di domande di conciliazione rilevate nel 2007 riguarda controversie sorte tra un'impresa e un consumatore, generalmente promosse da quest'ultimo. L'86% degli arbitrati ha visto invece contrapporsi due imprese. E anche in Italia, rileva lo studio, iniziano a comparire i primi casi conciliazione on line, come il servizio offerto dalla Camera Arbitrale di Milano.

"I consumatori, così come gli imprenditori, - ha dichiarato Carlo Sangalli, presidente della Camera di commercio di Milano - hanno bisogno di norme in grado di offrire soluzioni veloci e flessibili delle controversie. Una necessità che oggi la giustizia civile fatica a soddisfare e che trova invece una risposta nell'arbitrato e nella conciliazione". Per Francesco Bettoni, Vice Presidente di Unioncamere "la crisi della giustizia civile ha un costo elevato sulla competitività delle imprese italiane e incide fortemente sull'attrazione degli investimenti. In questa fase delicata dell'economia è ancora più importante rafforzare gli strumenti di giustizia alternativa che possono contribuire a recuperare la certezza del diritto".

Per il presidente di ISDACI Giovanni Deodato, "il positivo trend di crescita degli strumenti di giustizia alternativa evidenziato dal Rapporto è indubbiamente un risultato lusinghiero ma siamo ancora davanti ad una goccia d'acqua nel mare della conflittualità. In particolare, l'informazione resa possibile dal Rapporto si rivolge innanzitutto al Parlamento e al Governo e poi alle associazioni imprenditoriali, dei consumatori, nonché all'opinione pubblica affinché sia conosciuta l'offerta delle modalità di accesso alla giustizia privata. L'offerta dei servizi di arbitrato, mediazione e conciliazione, infatti, adempie ad un ruolo che forse non dobbiamo più definire soltanto alternativo, bensì anche complementare alla amministrazione della giustizia".

 

Ogni giorno 156 italiani perdono la vita per le conseguenze dell'eccesso di peso. Secondo l'OMS, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, nel nostro paese le morti attribuibili a sovrappeso e obesità sono state circa 57mila nel 2002, un decimo del totale. "Sono numeri da guerra è oggi il sovrappeso è un problema troppo sottovalutato" ha detto Franco Di Mare, giornalista di RaiUno, in occasione della conferenza stampa di lancio dell'iniziativa "Dai peso al peso" che si è tenuta oggi presso il policlinico Umberto I di Roma.

In cosa consiste il progetto "Dai peso al peso" che vede coinvolti per la prima vota diversi soggetti, tra cui l'Istituto Superiore di Sanità, l'IRCCS San Raffaele Pisana, la Società Italiana dell'Obesità e Acaya Formazione & Salute, in partnership con Abbott e Coop? Dal 13 febbraio fino al mese di giugno, milioni di italiani che hanno superato i limiti di peso potranno recarsi in un supermercato Coop per un check-up gratuito che misurerà il loro stato di sovrappeso.

In oltre 50 centri IperCoop di tutta Italia, le persone di età compresa tra i 18 anni e i 75 anni, in sovrappeso evidente o sospetto, potranno eseguire il controllo dei valori ematologici, misurazione della pressione arteriosa, misurazione della circonferenza addominale, indice di massa corporea, valutazione della distribuzione di grasso rispetto alla massa magra, e test sul comportamento psicologico nei confronti dell'alimentazione.

L'obiettivo del progetto è quello di valutare i principali fattori di rischio legati all'eccesso di peso creando un data base unico nel suo genere, nonché quello di aumentare nelle persone il grado di consapevolezza sulla propria condizione di rischio e incoraggiarle a modificare il proprio stile di vita.

Perché si è scelto il supermercato invece che la piazza? "Abbiamo pensato di intervenire lì dove ci sono le scelte del consumatore, per orientare il gusto, ma soprattutto lo stile di vita nella giusta direzione" ha spiegato Salvatore Puscio, Presidente Acaya Consulting, una società che fa simulazioni di interventi ospedalieri per preparare meglio i medici alle operazioni reali. "Il progetto nasce da una forte esigenza di testare i problemi di sovrappeso degli italiani - ha detto Puscio - e abbiamo deciso di farlo sul campo, offrendo gratuitamente la possibilità agli italiani attraverso degli ambulatori mobili".

Il sovrappeso ormai è un'epidemia che coinvolge milioni di persone: i più recenti dati Istat indicano che più di un italiano su tre (34,2%) è in sovrappeso, mentre quasi uno su 10 (9,8%) è obeso. Gli obesi adulti sono ormai un esercito di oltre 4 milioni di persone. E il loro numero è in crescita. Le statistiche confermano che vi è stato un incremento dell'obesità in tutti i Paesi in Europa, in Australia e soprattutto negli Stati Uniti con un aumento delle persone obese fino a circa il 30% della popolazione. Dagli anni '70 ad oggi la popolazione in sovrappeso e obesa in Italia è aumentata del 10% e in Inghilterra di circa il 18%.

Secondo uno studio condotto dall'Istituto Superiore della Sanità sulla fascia d'età 6-11, è emerso che dal 1990 ad oggi, si è verificata una crescita della popolazione giovane in sovrappeso e/o obesa di circa il 30%, che corrisponde al dato del 30% degli adulti in USA.

"Il grasso in realtà è un vero e proprio organo - ha dichiarato Saverio Cinti, Presidente Società Italiana dell'Obesità - in quest'organo ci sono due tipi di cellule: un tipo trasforma i grassi in calore quindi è positivo, mentre l'altro tipo sono cellule che accumulano il grasso e possono scoppiare generando un'infiammazione. Quando succede ci troviamo di fronte ad una vera e propria malattia e non si può far da soli". Giuseppe Rosano, del Centro di Ricerca Clinica e Sperimentale del San Raffaele di Roma, ha ricordato che "siamo fatti per vivere in assenza di cibo. Quindi quando c'è uno sbilanciamento tra quello che sprechiamo e quello che immagazziniamo, l'organismo accumula. E l'aumento di peso - ha concluso Rosano - aumenta il rischio di malattie cardiovascolari e di tutta una serie di altre malattie". Diabete, ipertensione, ictus e anche tumori sono i rischi del sovrappeso, con pesanti ricadute anche in termini sanitari e socio-economici.

"C'è la necessità di spiegare che questo non è un problema estetico - ha ribadito Giovanni Spera, Prof. Di Medicina Interna all'Università La Sapienza di Roma - purtroppo è una malattia che va gestita dal Sistema Sanitario e da tutte quelle strutture che possono affrontare il problema. Oggi ci sono dei protocolli standard che prevedono tante attività che funzionano. La chirurgia è sicuramente quella che dà risultati sul breve periodo, ma ci sono anche altre soluzioni". Infatti la perdita di grasso non è necessariamente perdita di peso e i due presupposti fondamentali per combattere il sovrappeso restano una dieta equilibrata e un giusto esercizio fisico. "Tutte o quasi tutte le terapie farmacologiche per dimagrire sono estremamente pericolose - ha ribadito Cinti.

Ma cosa ci si aspetta da questi dati che si raccoglieranno sul sovrappeso degli italiani? "Sicuramente c'è una curiosità scientifica - ha detto Cinti - non sappiamo realmente quanti soggetti in sovrappeso hanno una situazione di pericolo dal punto di vista sanitario. Questa è la prima volta che viene fatto uno screening di massa che ci aiuterà a capire le abitudini degli italiani". "Oltre ad essere tutto anonimo - ha precisato Stefano Vella dell'Istituto Superiore di Sanità - così che nessuno possa sentirsi schedato, verrà messa su una corte epidemiologica, per cui quest'iniziativa non darà solo una fotografia statica della situazione, ma seguirà i dati ne tempo, cercando di analizzare i fattori avversi e gli impatti dell'obesità nel tempo".

"L'obesità è una malattia solo dei paesi ricchi?" ha chiesto Franco Di Mare in conclusione. "Non è proprio così. Certo dove non c'è da mangiare ci sono altre urgenze, ma nei posti dove c'è un apporto di cibo almeno sufficiente subito si affaccia il problema dell'obesità". "Perché è un problema soprattutto di educazione alla salute, su cui si deve investire, e bisogna avere un approccio sistemico per inquadrare la malattia nel suo complesso" ha concluso Vella.

La caduta dei consumi segna un rallentamento e si attenua le tendenza negativa per quasi tutti i beni e servizi, in particolare per alimentari e bevande. La situazione resta critica per gli acquisti di autovetture e motocicli mentre continua a essere dinamica, anche se in frenata, la domanda di beni e servizi per comunicazioni. La previsione di una sostanziale "tenuta" dei consumi viene dalla Confcommercio. Secondo l'Indicatore dei Consumi Confcommercio (ICC), infatti, "a dicembre c'è stato un calo dello 0,5% e si è così attenuata la tendenza negativa dei consumi per quasi tutti i beni e servizi, in particolare per gli alimentari e le bevande". Dopo il meno 5% di novembre "si conferma la previsione di una sostanziale tenuta dei consumi, conseguenza anche di un comportamento delle famiglie nel periodo natalizio non particolarmente difforme da quanto tenuto negli anni precedenti".

Nella media dell'anno le quantità acquistate hanno registrato una riduzione del 2,3% a fronte di una crescita nel 2007 dell'1,1%. Anche a dicembre è proseguita la tendenza a un ridimensionamento dell'inflazione, rileva Confcommercio, e dunque i prezzi relativi al paniere di beni e servizi che compongono l'ICC hanno fatto registrare una crescita dello 0,7%, "in sensibile ridimensionamento rispetto ai valori raggiunti in estate". In termini tendenziali le diminuzioni più rilevanti hanno interessato i beni e servizi per la mobilità e le comunicazioni. Dopo il meno 2,8% registrato nel mese di novembre, la domanda per beni e servizi ricreativi ha registrato a dicembre 2008 una ulteriore diminuzione (meno 2,0% in termini tendenziali). Solo per dischi, supporti per la registrazione e concorsi a pronostici si è riscontrata una crescita. Nella media dell'intero anno la flessione è stata del 3,4%.

A dicembre continua a diminuire la domanda di beni e servizi per la mobilità (meno 5,8% in termini reali rispetto all'analogo mese del 2007) dovuta al permanere di una situazione fortemente critica per gli acquisti di autovetture e motocicli e delle spese per il trasporto aereo. Si conferma invece dinamica la domanda relativa ai beni e servizi per le comunicazioni, con una variazione in termini reali del più 9,8%, evoluzione a cui ha contribuito la tendenza espansiva degli acquisti di dotazioni per l'informatica e telecomunicazioni. Ciò nonostante, anche questo aggregato presenta un sensibile rallentamento rispetto al 2007 se si considera che nella media annuale l'aumento è stato del 7% a fronte del più 12,9% registrato nel 2007.

Beni e servizi per la cura della persona fanno registrare un ulteriore aumento delle quantità vendute (più 2,4% nel mese, più 2,3% nella media del 2008), quasi esclusivamente per la domanda di prodotti farmaceutici e terapeutici. Segnali negativi per abbigliamento e calzature (meno 3,1%) per i quali le famiglie spostano gli acquisti durante i saldi. E per quanto riguarda la domanda delle famiglie per i prodotti alimentari, bevande e tabacchi, la stima per dicembre 2008 pur evidenziando una ulteriore flessione (meno 0,6% in termini tendenziali) indica la tendenza a mantenere inalterati gli acquisti per questa tipologia di consumi in occasione delle festività di fine anno. In media nel 2008 la flessione della domanda è stata del 3,6% rispetto al 2007.

 

Quattro facciate al posto di otto e istruzioni ridotte da 100 a 24 pagine. Numeri mini per Unico mini, versione "pocket" e "user friendly" del modello Unico persone fisiche studiata dalle Entrate per i circa 4 milioni di contribuenti italiani con i redditi più comuni. Breve e facile da riempire, il nuovo modello si presenta all'appello con la prossima stagione delle dichiarazioni con righi ridotti nel numero ma ampliati nelle dimensioni per rendere più agevole la compilazione.

I dati anagrafici, ad esempio, che nel modello Unico ordinario richiedono una pagina intera, sono condensati in un solo rigo, dove il contribuente si limiterà a indicare nome, cognome, codice fiscale e domicilio fiscale. Una tappa ulteriore, dunque, nel percorso di semplificazione degli adempimenti portato avanti dall'Amministrazione finanziaria anche attraverso modelli di dichiarazione più chiari e "leggeri".

Unico mini, platea maxi
Sulla base dei dati di Unico persone fisiche 2008, saranno in 4 milioni a poter optare per Unico mini 2009, di cui 3 milioni di lavoratori dipendenti e un milione di titolari di altri redditi (ad esempio di terreni e fabbricati).
Il nuovo modello potrà essere utilizzato dai contribuenti residenti in Italia che hanno percepito uno o più tipi di redditi tra: redditi di terreni e di fabbricati, di lavoro dipendente o assimilati, di pensione, derivanti da attività commerciali e di lavoro autonomo non esercitate abitualmente e che intendono fruire delle detrazioni e deduzioni per gli oneri sostenuti e delle detrazioni per carichi di famiglia e lavoro.

Essendo dedicato ai contribuenti che presentano le situazioni più comuni e più semplici, è invece off limits per i titolari di partita Iva, per chi deve presentare la dichiarazione per conto di altri (ad esempio eredi o tutori) e per coloro che devono presentare una dichiarazione correttiva nei termini o integrativa.

Unico mini, vantaggi maxi
Tutte le agevolazioni introdotte per il 2008 trovano naturalmente spazio in Unico mini. In particolare, il nuovo modello accoglie - con un'apposita colonna in cui indicare il reddito complessivo dei singoli familiari - il bonus straordinario per le famiglie e la tassazione con imposta sostitutiva del 10% da applicare alle prestazioni di lavoro straordinario e assimilate, nel caso in cui la scelta venga effettuata in sede di dichiarazione.

Sostanzialmente invariati nella struttura i quadri RA e RB (redditi dei terreni e dei fabbricati), dai quali vengono però tenuti fuori i casi più particolari: mancata coltivazione del terreno, immobili inagibili, canoni di affitto in regime vincolistico o non percepiti per morosità. Semplificati anche i quadri RC (redditi di lavoro dipendente e assimilati), che si presenta senza la tradizionale suddivisione in sezioni, e RP (oneri e spese), che include tutte le spese detraibili - comprese quelle sostenute per lavori di ristrutturazione - ad eccezione degli oneri che comportano particolari complessità nei calcoli.

Ridotti, infine, i righi del quadro RN (determinazione dell'Irpef), che tiene fuori crediti d'imposta e una serie di informazioni non necessarie perché relative a dati non presenti nei quadri precedenti. Chiude il nuovo modello il riquadro destinato alla richiesta del bonus straordinario per le famiglie a basso reddito e quelli relativi alla firma della dichiarazione, all'impegno alla presentazione telematica e alla destinazione dell'otto e del cinque per mille.


 

Disattivare i siti web pedopornografici, ostacolare i loro sistemi di pagamento online, promuovere filtri per i siti porno e punire i gestori di forum pedofili. Lo raccomanda il Parlamento europeo che oggi ha approvato con 591 voti favorevoli e 2 contrari, la relazione dell'eurodeputata italiana Roberta Angelilli, che propone di rafforzare la lotta allo sfruttamento sessuale dei bambini, adottando anche norme comuni sul turismo sessuale, favorendo le denunce e tutelando di più le vittime di violenze.

Anzitutto il Parlamento Ue chiede di incoraggiare gli Stati membri che non lo hanno ancora fatto a sottoscrivere, ratificare e attuare tutte le convenzioni internazionali pertinenti, in particolare quella del Consiglio d'Europa (firmata dall'Italia nel novembre 2007), e ad aiutarli a migliorare la loro legislazione, anche sancendo che i reati a sfondo sessuale nei confronti delle persone di età inferiore a 18 anni "siano sempre classificati in tutta l'Unione europea come abuso di minori" e penalizzando tutte le forme di abuso sessuale nei confronti dei minori.

Ma i deputati chiedono anche di rivedere la decisione quadro in modo da elevare il livello di protezione almeno sino a quello previsto dalla Convenzione del Consiglio d'Europa e da concentrare l'attenzione sugli abusi connessi a Internet e ad altre tecnologie della comunicazione. Più in particolare, chiedono di punire la partecipazione ad attività sessuali con una persona di età inferiore a 18 anni ricorrendo a coercizione, forza o minaccia, oppure abusando di una posizione riconosciuta di fiducia, autorità o influenza, o di una disabilità mentale o fisica del minore, o ancora dando in pagamento denaro o altre forme di compenso in cambio del coinvolgimento del bambino in attività sessuali. La nuova decisione quadro dovrebbe anche penalizzare il matrimonio forzato di un bambino nonché la partecipazione intenzionale a esibizioni di carattere pornografico che coinvolgano bambini e li costringano intenzionalmente ad assistere ad abusi o attività sessuali.

 

La liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica è in linea con le tendenze europee ma il cambiamento è in media basso fra i consumatori domestici, che sono interessati a valutare offerte sul mercato libero solo se queste portano a risparmi del 15-20%. È quanto dichiara Paolo Vigevano, amministratore delegato di Acquirente Unico, in occasione della presentazione della ricerca RIE sul comportamento dei clienti tutelati ed in particolare quelli del mercato domestico. "La liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica in Italia è in linea con il trend europeo, ma la propensione al cambiamento è soprattutto dei grandi utenti, ossia delle imprese industriali e commerciali, mentre è mediamente bassa fra i consumatori domestici - ha detto Vigevano - In un anno e mezzo circa 2,3 milioni di clienti, infatti, sono passati dalla maggior tutela al mercato libero, un tasso di trasmigrazione (switching) che è in linea con le migliori esperienze europee".

In particolare, "il numero di clienti serviti in maggior tutela è passato da 34 milioni a poco più di 31 così che il numero di famiglie che continuano ad avere la fornitura di energia elettrica nel regime di maggior tutela è passato da 28 milioni a circa 26 milioni". I consumatori, ha continuato l'ad di Acquirente Unico, "si sono dichiarati interessati a valutare offerte sul mercato libero solo allorché i risparmi conseguibili fossero dell'ordine di grandezza di almeno 15-20%. Per un consumatore domestico tipo (2.700 kWh l'anno) dei 500 euro circa di spesa annua, due terzi soltanto riguardano l'energia elettrica e la commercializzazione e vendita. È evidente, quindi, come sia difficile per una società di vendita fare offerte commerciali sul mercato domestico con sconti elevati come quelli attesi dai consumatori".

 

Cosa pensano le famiglie e le imprese italiane a proposito dei servizi pubblici locali? Ad esempio, vengono considerati al pari di altri diritti di cittadinanza, sono troppo "burocratizzati" e segmentati? Ma soprattutto soddisfano gli utenti e le imprese? Sono questi gli interrogativi alla base di una ricerca condotta da Censis-Confservizi, presentato oggi a Roma.

Il servizio idrico integrato risulta il servizio pubblico locale più importante per le famiglie italiane, in relazione allo stile di vita del nucleo familiare; seguono i rifiuti, l'energia elettrica, il gas, le aziende sanitarie e i servizi assistenziali di cura. All'ultimo posto ci sono i servizi culturali, per il turismo e il tempo libero. Per le imprese sono i servizi pubblici dell'energia elettrica a rivestire maggior importanza; restano secondi i rifiuti, ma al terzo posto troviamo il trasporto pubblico locale; il servizio idrico integrato arriva quarto e ultimo il gas.

Parliamo di liberalizzazioni. Il 53% delle famiglie italiane riconosce grande importanza ai processi di messa in concorrenza delle aziende che erogano i servizi pubblici locali; il 55,7% si aspetta un miglioramento della qualità del servizio a prezzi inferiori e il 24,9% a prezzi immutati.

Ed è il prezzo a determinare la scelta dell'operatore, in un ipotetico contesto concorrenziale (per il 51,9% delle famiglie); il 39% sceglie in base alla chiarezza delle condizioni contrattuali, il 31,2% in base alla credibilità dell'interlocutore o alla notorietà dell'azienda. Solo per il 7,5% delle famiglie è importante l'informazione sui servizi erogati. Secondo il 65,9% delle imprese le aziende che offrono servizi integrati di pubblica utilità secondo il modello multi service semplificano i passaggi burocratici e rendono più facile interloquire con un unico soggetto di offerta. Per il 61,1% delle famiglie il modello di multi utilities offre all'utente vantaggi di interloquire con un unico soggetto.

Com'è il rapporto tra il consumatore e l'azienda che offre servizi pubblici locali? Il 64,8% delle famiglie si rivolge direttamente all'azienda erogatrice per far presente le proprie esigenze, il 10,2% lo fa attraverso le associazioni dei consumatori, il 23,6% non ha mai avuto occasioni di farlo. Inoltre il 43,8% delle famiglie ritiene che le procedure conciliative siano il modo più efficace per fronteggiare eventuali controversie con le aziende; il 24,8% preferisce le azioni collettive risarcitorie.

 

 

E' disponibile, da qualche giorno sul sito dell'Agenzia delle Entrate, il modello di comunicazione per la ricezione telematica, da parte dei sostituti d'imposta, dei dati relativi ai 730-4, con gli importi da trattenere o da rimborsare, tra i quali, per esempio, l'Irpef. Il modello è accompagnato dal provvedimento di approvazione ed è completo di istruzioni e specifiche tecniche. Quest'anno si allarga il ventaglio delle province interessate dalla modalità sperimentale di scambio telematico, sempre più rapida, economica e sicura.

Il modello consente ai sostituti d'imposta con domicilio fiscale nelle province coinvolte nella sperimentazione di comunicare l'utenza telematica presso cui l'Agenzia renderà disponibili i dati dei 730-4 trasmessi dai Caf - dipendenti. Questo flusso informativo a tre vie, realizzato grazie ai servizi telematici dell'Agenzia, rappresenta una procedura necessaria per consentire i conguagli su retribuzioni e pensioni con vantaggi evidenti in termini economici e di sicurezza.

Le province coinvolte sono: Agrigento, Aosta, Arezzo, Ascoli Piceno, Asti, Belluno, Benevento, Biella, Brindisi, Caltanissetta, Campobasso, Chieti, Cosenza, Cremona, Crotone, Enna, Gorizia, Imperia, Isernia, L'Aquila, Lecco, Livorno, Lodi, Macerata, Matera, Oristano, Perugia, Pistoia, Pordenone, Potenza, Ravenna, Reggio Emilia, Rieti, Rimini, Rovigo, Salerno, Sassari, Savona Taranto, Terni, Trento, Verbania, Verona, Viterbo. I sostituti d'imposta devono presentare la comunicazione, esclusivamente in via telematica, entro il 31 marzo 2009. Possono farlo direttamente o tramite un intermediario abilitato alla trasmissione telematica delle dichiarazioni.

Banche e immigrati, un rapporto fatto di una pluralità di strumenti finanziari e di una clientela che in genere esprime esigenze "medie" anche se con diverse specificità nazionali. Così gli albanesi preferiscono il bancomat (80% a fronte di una media di circa il 67%), i ghanesi puntano sulla carta di credito (32%), i filippini sulle carte prepagate (24%). La comunità cinese è al primo posto per l'uso di libretti di risparmio (56%) e i prestiti personali (40%) mentre l'Ecuador è al primo posto per l'uso dell'home banking (oltre il 13%). Il lavoro è il canale di accesso al sistema bancario per le comunità del Senegal e del Marocco, mentre per la Romania la banca è soprattutto custode del risparmio e canale di accesso al credito. Fra i migranti, l'82% è cliente medio, ossia fa ricorso a una pluralità di strumenti finanziari che rispondono ad esigenze semplici e basilari. Il 16% appartiene invece a un profilo che investe e valorizza i risparmi.

Sono i dati della ricerca ABI-Cespi "Banche e nuovi italiani: i comportamenti finanziari degli immigrati" sul grado di utilizzo dei servizi bancari da parte degli immigrati, presentata al Forum Corporate Social Responsibility oggi a Roma.

Come ha spiegato Giuseppe Zadra, Direttore Generale dell'ABI, "oggi le banche si confrontano sempre più con le aspettative e i bisogni finanziari anche di nuovi soggetti, in particolare degli immigrati, che si sono inseriti nel nostro tessuto economico e sociale e che rappresentano un segmento del mercato non più trascurabile". Zadra ha sottolineato che "diviene perciò necessario comprendere le esigenze che emergono dal lato della domanda ed individuare soluzioni che possano rispondere ai bisogni ed alle attese degli interlocutori".

 

La maggior parte degli italiani paga con la carta, invece che in contanti, perché la considera uno strumento più comodo e veloce. Secondo un sondaggio condotto dall'ISPO, l'Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione, diffuso oggi, il 77% degli intervistati considera la "moneta elettronica" lo strumento più comodo, soprattutto durante viaggi e vacanze o periodi intensi di shopping, infatti permette movimenti o acquisti in maggiore tranquillità, senza preoccupazioni di furti o smarrimenti.

Il 65% degli italiani preferisce la carta perché fa "saltare" le code, soprattutto ai caselli autostradali o ai supermercati (53%); l'80% degli intervistati si sente più tranquillo perché sa che in caso di furto è sufficiente una telefonata a bloccare la carta, il 92% della popolazione, infatti, considera rischioso girare con molti contanti in tasca.

Un altro strumento prezioso per il 68% degli italiani è l'estratto conto che facilita la gestione delle spese; per le casalinghe e per gli ultrassessantacinquenni è un utilissimo mezzo di pianificazione finanziaria.

Ma quando si tratta di affrontare le spese quotidiane, gli italiani sono ancora legati al "contante", e da questo punto di vista il nostro Paese è ancora in ritardo rispetto al resto d'Europa. Un italiano fa in media 21,6 operazioni all'anno con la carta, mentre la media europea è di 50,5.

 

 

 

Ottenere un prestito bancario nonostante bassi salari, poche garanzie e mancanza di una storia di credito. È questa la possibilità offerta dalla Regione Puglia per dare modo ai più deboli, che si trovano di fronte a barriere insormontabili, di accedere al credito. Ogni cittadino potrà certificare la propria affidabilità creditizia, attraverso il curriculum del "buon pagatore" che attesta il puntuale pagamento delle bollette; a cominciare da quelle dell'Acquedotto Pugliese, ma anche del gas, dell'elettricità, del telefono. Si risolve così il problema della mancanza di "informazioni certificate" che le banche o le finanziarie possano utilizzare per valutare l'affidabilità del cliente.

Sono circa un milione le persone che ne potrebbero beneficiare: i giovani di età inferiore ai trent'anni che si stimano intorno ai 700mila, gli immigrati adulti, in Italia da almeno un anno, che secondo i dati Inail sfiorano le 68mila unità. A questi si aggiungono i giovani imprenditori e tutti i pugliesi che pur avendo già contratto prestiti desiderano incrementare l'accesso al credito.

Si chiama "Credito e inclusione sociale" il protocollo d'intesa firmato ieri dalla Regione Puglia, dall'Acquedotto Pugliese (AQP) società di proprietà regionale, che fornendo i servizi idrici alla Puglia detiene i dati sulla storia dei pagamenti delle utenze da parte dei cittadini, da Crif S.p.A, società bolognese specializzata nella gestione di informazioni e modelli di valutazione del merito di credito, utilizzati dalle principali banche e finanziarie italiane. Per 3-6 mesi si studierà la fattibilità del progetto cercando di definire le risorse umane e finanziarie necessarie per realizzare l'iniziativa, i ruoli che ciascuna istituzione o società ricoprirà nel progetto e gli investimenti necessari.

Se lo studio di fattibilità avrà esito positivo, la Regione e Crif daranno il via al progetto. Funzionerà così: il cittadino intenzionato a chiedere un finanziamento o che si è già visto respingere una richiesta, si rivolge a Crif per il Servizio Attestazione. L'azienda bolognese chiede alle società che erogano acqua, elettricità, gas, servizi telefonici i dati relativi ai pagamenti: in particolare la data in cui è stata attivata l'utenza, la storia dei pagamenti negli ultimi tre anni e gli importi pagati, la data in cui si sono verificati eventuali ritardi nei pagamenti e quando il ritardo è stato sanato. Crif verificherà anche la presenza di informazioni di rilievo sulle banche dati pubbliche e sul sistema di informazioni creditizie per includerle nella valutazione. L'esito della valutazione di affidabilità viene fornita al cittadino che può presentarla all'istituto di Credito al quale richiede il finanziamento.

 

In Italia si stima che a fine 2008 la diffusione della televisione digitale terrestre - intesa come numero di famiglie in possesso di almeno un ricevitore per il digitale terrestre nella propria abitazione - raggiunga quota 7,6 milioni di abitazioni pari al 34% del totale. La Tdt risulta così più diffusa del satellite: le famiglie dotate di almeno un ricevitore satellitare sono infatti 6,6 milioni, il 28% del totale, di cui 4,7 milioni ricevono la tv a pagamento. Il 2008 è anche l'anno del sorpasso della televisione digitale (tutte le piattaforme, 53%) sull'analogico (47%).

E' quanto emerge dal Terzo Rapporto sulla Televisione Digitale Terrestre in Europa elaborato da DGTV,intitolato "Niente è come prima". Il Rapporto concentra l'analisi sui 4 paesi europei in cui la televisione terrestre costituisce l'infrastruttura prevalente in analogico: Regno Unito, Spagna, Francia e Italia.

Nel 2008, in questi 4 paesi, la Tdt ha registrato un doppio sorpasso: ha superato il satellite e rappresenta oggi il primo canale di accesso alla Tv digitale; ha superato la Tv analogica che si è ridotta a meno di un terzo delle abitazioni Tv.

La Tdt si sta dimostrando terreno di crescita di una nuova generazione di canali di intrattenimento, molti dei quali prodotti dai broadcaster analogici. Contrariamente a quanto si pensava in una prima fase, lo sviluppo della TV multicanale ha infatti dimostrato di non comprimere lo spazio delle offerte generaliste, ma piuttosto di rafforzarlo, spingendo gli editori a una sorta di rigenerazione nelle organizzazioni di palinsesti e programmi.

Nel triennio 2005-2008, i canali mini-generalisti disponibili su Tdt nei 4 Paesi sono raddoppiati da 13 a 25. Molti sono prodotti dagli stessi broadcaster generalisti che vedono nella crescita del proprio portafoglio d'offerta la possibilità di intercettare target progressivamente allontanatisi dai canali storici e sono il risultato dell'estensione di brand televisivi consolidati o della creazione di sinergie editoriali con altri operatori.

In Italia, la TV a pagamento su Tdt è disponibile già dal gennaio 2005, quando vennero lanciati i due servizi Mediaset Premium e La7 Cartapiù dai due broadcaster commerciali. Entrambi avevano adottato un innovativo modello Ppv tramite carta prepagata ricaricabile, che permetteva l'accesso a "singoli titoli" e su decoder unico (ossia non proprietario). Inizialmente limitata alle partite di serie A, l'offerta veniva successivamente allargata ad altri generi (film, serie Tv etc.). A partire dall'inizio del 2008, Mediaset Premium si è arricchita di 3 nuove proposte: Joi, Mya e Steel (intrattenimento, con prevalenza di fiction e film) a cui si è aggiunto Disney Channel (luglio 2008).

Questi 4 servizi, più le rispettive versioni time-shifted, sono confluiti nel pacchetto Premium Gallery, a cui si affianca il pacchetto Premium Calcio (Calcio 24 e accesso a singoli eventi sportivi). A dicembre 2008, Mediaset Premium ha allargato l'offerta con Premium Fantasy, dedicato a bambini e ragazzi (Cartoon Network, Disney Channel, Playhouse Disney e Hiro). Nel dicembre 2008, Telecom Italia Media ha perfezionato la cessione delle proprie attività pay su Tdt all'operatore svedese AirPlus TV, specializzato nella fornitura di servizi pay su Tdt e già attivo in Finlandia. Infine, Il mercato pay su Tdt in Italia comprende un terzo player, Pangea, che fornisce a editori terzi soluzioni tecnologiche (mantenimento, head-end, sicurezza etc.) a supporto della gestione di servizi di pay.

Le 555 imprese televisive locali attualmente operanti sul territorio italiano (440 a carattere commerciale e 115 a carattere comunitario) rappresentano una componente significativa del sistema radiotelevisivo nazionale e rivestono un ruolo che non ha confronto nel resto d'Europa. Con oltre 4.800 dipendenti, di cui circa 1.500 giornalisti, le imprese televisive locali danno lavoro al 38% degli addetti dell'intero settore televisivo privato e rappresentano un importante bacino per la formazione di autori, registi, tecnici, giornalisti e artisti che alimentano da sempre le reti nazionali.

Nei nuovi scenari digitali le Tv locali intendono assumere un ruolo protagonista, svolgendo sia l'attività di operatore di rete, sia quella di fornitore di contenuti e servizi, dando vita ad una serie di nuove offerte televisive che rafforzano il loro insostituibile ruolo sul territorio. Svolgendo l'attività di operatore di rete, le Tv locali hanno la possibilità di incrementare la propria offerta di programmi orientati al territorio, nel prossimo futuro anche attraverso trasmissioni in alta definizione. Le stesse, inoltre, possono fungere da carrier per nuove iniziative editoriali.

Uno dei problemi più delicati per le Tv locali è però quello della mancanza di canali ridondanti, che non consente loro di effettuare il cosiddetto "simulcast". Infatti le Tv locali, pur esercendo, nel complesso, circa un terzo dei canali analogici, non dispongono, nella stragrande maggioranza dei casi, di canali doppi nelle aree servite che permettano loro di trasmettere simultaneamente in analogico e in digitale.

Nella fase di switch-over, le Tv locali, non disponendo di canali ridondanti, effettuano quindi le trasmissioni digitali a carattere sperimentale prevalentemente nelle ore notturne, sugli stessi canali eserciti in analogico nelle ore diurne. In questo modo, infatti, la perdita di ascolti che interviene nelle ore dedicate alla sperimentazione non ha ricadute significative sulla raccolta pubblicitaria delle trasmissioni analogiche. Ma, allo stesso tempo, non permette di ottenere alcun posizionamento nel mercato della Tv digitale. Ne consegue l'esigenza di uno switch-over estremamente limitato nel tempo.

Efficienza e concorrenza. Maggiore efficienza e maggiore concorrenza. Queste sono state le parole più utilizzate dagli attori intervenuti al workshop organizzato questa mattina a Roma da Consumers'Forum dal titolo "Filiere lunghe, filiere corte, filiere estemporanee". Dopo una breve introduzione di Lorenzo Miozzi, presidente di CF, che ha ricordato i successi dell'associazione che si appresta a festeggiare il suo decimo compleanno, al professore Paolo De Castro, senatore e vicepresidente della Commissione Agricoltura di Palazzo Madama, è stato affidato il compito di entrare nel vivo del dibattito suscitandolo con una serie di valutazioni tecniche ed economiche sulle filiere nel settore agroalimentare.

Il professore ha iniziato il suo intervento dal tono di una lezione universitaria con una definizione di filiera del compianto Vito Saccomandi secondo il quale per filiera agroalimentare si intende l'insieme degli agenti economici, amministrativi e politici che direttamente o indirettamente delimitano il percorso che un prodotto agricolo deve seguire per arrivare dallo stadio iniziale di produzione a quello finale di utilizzazione, nonchè il complesso delle interazioni delle attività di tutti glia genti che determinano questo percorso.

Spesso e volentieri quando si parla di rincari dei prodotti agroalimentari e non, si punta il dito verso le filiere accusandole di essere troppo lunghe. In realtà - ha spiegato De Castro - il vero problema non sta nella lunghezza quanto nella efficienza della filiera: in altre parole filiera lunga non è sempre sinonimo di filiera inefficiente e al contrario filiera corta non è sempre sinonimo di filiera efficiente. Secondo il Senatore quello che manca nel nostro sistema distributivo, caratterizzato da una significativa presenza di operatori commerciali e distributivi, è l'organizzazione. Si pensi che solo il 35% dell'ortofrutta nel nostro Paese è commercializzata in forma organizzata: in Abruzzo la percentuale è bassissima (si parla del 5%) ma ci sono anche esempi virtuosi come il Trentino Alto Adige dove il 100% della produzione ortofrutticola è commercializzata in forma organizzata. L'efficienza. Ma quando si può parlare di filiera efficiente? Secondo De Castro una filiera è efficiente quando riesce a minimizzare i costi industriali di produzione e distribuzione. In secondo luogo, come si diceva prima, aprioristicamente non è possibile affermare che la filiera corta è più efficiente di quella lunga dato che sono le caratteristiche tecnico economiche del comparto/prodotto agroalimentare a determinarne la lunghezza. Infine, è altresì vero che la lunghezza della catena tende a ridursi quanto più organizzati risultano entrambi gli operatori posti agli estremi della stessa permettendo in tal modo una diminuzione di quelle "sacche di inefficienza" che spesso conducono ad una riduzione dei margini degli stessi operatori e un contestuale aumento dei prezzi per i consumatori.

E' d'accordo con il Senatore quando si parla di maggiore organizzazione, Vito Bianco (Confagricoltura) secondo il quale oltre ai consumatori, la scarsa organizzazione pregiudica il mercato e non consente ulteriore crescita. La via d'uscita - sostiene Bianco - sta nella razionalizzazione del lavoro attraverso accordi con il mondo della trasformazione e della grande distribuzione organizzata.

In effetti, anche nella visione del professore De Castro, le nostre industrie hanno una forte propensione all'export che tuttavia necessita di essere sempre più incoraggiato dal momento che dal confronto con i partner europei usciamo - come sempre - sconfitti.

Non è totalmente d'accordo con una maggiore organizzazione delle filiere Luciano Sita (Centromarca) secondo il quale c'è una parte delle efficienze delle filiere che non può essere misurata. Sita fa riferimento alla estemporaneità, alla vivacità che caratterizza la nostra filiera. L'esempio rende meglio l'idea: il consumatore che va ad acquistare un litro di latte dal contadino attribuisce al gesto una serie di valori che non si possono misurare (ad esempio l'esperienza di recarsi in campagna, alle stalle, la mungitura). Secondo Sita, ciò afferma il concetto di carattere generale che più numerose sono le filiere maggiore è la possibilità di scelta per i consumatori e il livello di competizione del mercato. Dunque ritorna un'intuizione "antica": più competizione, maggiore vantaggio per i consumatori. E' vero, ma la vera concorrenza sui prodotti ortofrutticoli non esiste. L'ha fatto notare Paolo Landi (Adiconsum) intervenuto al workshop secondo il quale a differenza degli altri prodotti, su quelli ortofrutticoli non c'è una grande concorrenza che permette di scegliere al consumatore il prodotto che più soddisfa la propria capacità di spesa.

Se è vero come ha spiegato De Castro supportato da Bianco che filiera corta non è sinonimo di efficienza come ci hanno fatto credere in questi ultimi tempi, perchè nei farmer market - dove si saltano diversi passaggi della filiera dal momento che il contadino vende direttamente al consumatore il frutto del suo lavoro - è possibile risparmiare e soprattutto perchè se aumenta il prezzo del grano all'origine la pasta costa di più e ad una diminuzione del costo all'origine non corrisponde quasi mai una diminuzione del costo della pasta per il consumatore finale? C'è qualcosa che non torna.

 

Il lavoratore non perde il diritto alle ferie annuali retribuite che non ha potuto esercitare a causa di malattia. È quanto afferma la Corte di giustizia delle Comunità europee in riferimento a due richieste di intervento provenienti dalla Germania e dal Regno Unito nell'ambito di controversie sulle ferie annuali retribuite dei lavoratori che si trovano in congedo per malattia.

"Il diritto alle ferie annuali retribuite - afferma la Corte - non può estinguersi allo scadere del periodo di riferimento e/o di un periodo di riporto fissato dal diritto nazionale anche quando il lavoratore sia stato in congedo per malattia per l'intera durata o per una parte del periodo di riferimento e la sua inabilità al lavoro sia perdurata fino al termine del rapporto di lavoro, ragione per la quale egli non ha potuto esercitare il suo diritto alle ferie annuali retribuite".

Per quanto riguarda invece il diritto a un'indennità finanziaria sostitutiva delle ferie annuali retribuite e non godute, la Corte afferma che "l'indennità deve essere calcolata in modo da porre il lavoratore in una situazione analoga a quella in cui si sarebbe trovato se avesse esercitato tale diritto nel corso del rapporto di lavoro".

L'economia verde può rappresentare un fattore di sviluppo e creare posti di lavoro ovunque, in una sfida che mette insieme crescita verde, sviluppo sostenibile, riduzione dell'inquinamento, energie rinnovabili e rispetto della dignità dei lavoratori e delle condizioni di lavoro. Sono 2,3 milioni oggi i lavoratori impiegati nel settore delle energie rinnovabili in tutto il mondo. A livello globale, circa 300 mila lavoratori sono impiegati nel settore dell'energia eolica, circa 170 mila nel solare fotovoltaico, più di 600 mila nel solare termico e fra questi la maggior parte è in Cina. Si stima inoltre che quasi la metà degli "ecolavori", circa 1,2 milioni, siano impiegati nel settore biocombustibili nei quattro paesi leader Brasile, Stati Uniti, Germania e Cina. È la fotografia che emerge dal rapporto "Green Jobs. Verso lavori dignitosi in un mondo sostenibile a basse emissioni di CO2", commissionato e finanziato dall'Unep (United Nations Environment Programme) insieme a Ilo (International Labour Organization), Ioe (International Organization of Employers) e Ituc (International Trade Union Confederation). Lo studio disegna il panorama internazionale degli ecolavori ed è stato presentato oggi nell'ambito di un'iniziativa di due giorni organizzata dal Polo energia ambiente della Regione Lazio e dalla rivista Modus Vivendi.

I 2,3 milioni di ecolavori del 2006 potrebbero diventare 20 milioni di posti di lavoro nel 2030, secondo le stime presentate da Ana Belen Sanchez, Climate Change Specialist, Policy Integration Department dell'Ilo. E si tratta di stime per difetto. In vista c'è "una seconda grande trasformazione dell'economia" che avrà "un profondo impatto sulle imprese e sui lavoratori". "Non è solo necessario - ha detto Sanchez - avere lavori verdi se questi non sono anche lavori dignitosi".

In Europa i paesi leader sono Germania e Spagna. Ma i "green jobs" interessano anche paesi emergenti e in via di sviluppo. Nel settore dei riciclo, ad esempio, sono 500 mila i posti di lavoro in Brasile e ben 10 milioni in Cina, dove però - ha sottolineato Sanchez - si registrano cattive condizioni di lavoro che riguardano sia l'impatto sull'ambiente sia la salute dei lavoratori. Esperienze interessanti si registrano però anche in condizioni caratterizzate da disagio o povertà: in Bangladesh ad esempio ci sono progetti per l'installazione di impianti fotovoltaici attraverso il microcredito, mentre in Sud Africa ci sono interventi negli slums che prevedono installazione di pannelli solari, isolamento delle baracche, installazione di lampadine ad alta efficienza energetica.

"Una transizione globale verso un'economia sostenibile e con un consumo minore di CO2 - si legge nella sintesi del Rapporto - può creare un elevato numero di ecolavori nei vari settori dell'economia, diventando in tal modo un motore per lo sviluppo. La creazione di questi lavori sta avendo luogo sia nei Paesi ricchi che in alcuni Paesi emergenti e in via di sviluppo".

A livello di ripercussioni sull'occupazione, queste prevedono quattro diversi casi: creazione di lavori aggiuntivi, sostituzione di alcuni lavori, eliminazione di altri, trasformazione e ridefinizione di alcune occupazioni. Ma gli ecolavori "devono necessariamente essere lavori dignitosi, vale a dire lavori che offrono un salario adeguato, condizioni di lavoro sicure, sicurezza del posto di lavoro, prospettive ragionevoli di carriera e rispetto dei diritti del lavoro". Di conseguenza, non sono affatto verdi e dignitosi quei lavori nel riciclaggio di materiale elettronico in Asia, o nelle piantagioni di prodotti per biocarburante in America Latina, che sfruttano i lavoratori e li privano della libertà. Mentre nei "green jobs" quali opportunità per il futuro "non ci sarà - ha detto Ana Belen Sanchez - nessuna necessità di scegliere fra la protezione dell'ambiente e lo sviluppo, la giustizia sociale, la crescita economica".

E in Europa? Il rapporto evidenzia che "secondo le previsioni, entro il 2010 si creeranno 950.000 posti di lavoro a tempo pieno direttamente o indirettamente legati al settore, che saliranno a 1,4 milioni entro il 2020". Se si adottasse una strategia avanzata per le rinnovabili, questi numeri salirebbero a 1,7 milioni di posti di lavoro entro il 2010 e 2,5 milioni entro il 2020. Nel frattempo i paesi leader sono Germania e Spagna.

La Germania aveva 157 mila green jobs nel 2004 che sono diventati 236 mila nel 2006 e ben 249.500 nel 2007. Nel 2006 ha esportato più del 70% degli impianti a energia eolica e circa un terzo delle turbine eoliche e delle celle fotovoltaiche nel mondo sono prodotte in Germania. Secondo la società di consulenza del lavoro Roland Berger, le previsioni stimano per la Germania dalle 400 alle 500 mila persone impiegate nelle rinnovabili entro il 2020 e 710 mila entro il 2030.

La Spagna di recente ha visto espandersi il settore delle rinnovabili: da un recente sondaggio emerge che oggi oltre mille imprese dedicate alle rinnovabili danno lavoro a 89 mila lavoratori in maniera diretta e a 99 mila in maniera indiretta per un totale di 188 mila impiegati nel settore.

PDF: Green Jobs: Towards decent work in a sustainable, low-carbon world

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