Che gli italiani siano consapevoli di questo e dell’urgenza di un’azione, lo conferma l’indagine “L’immagine della Donna tra vecchi e nuovi media”, secondo cui l’87% degli italiani ritiene che i media abbiano il potere di creare narrazioni e alimentare (o abbattere) stereotipi, mentre il 58% ritiene che i media trattino le tematiche di genere in modo inadeguato.

 
L’indagine, svolta da Ipsos in collaborazione con Consumers’ Forum su un campione rappresentativo di cittadini e di cittadine, ha analizzato la percezione dell’uso dell’immagine della donna nei media contemporanei, per rispondere a quesiti quali: come è rappresentata la donna oggi nella pubblicità, in TV e nella carta stampata? Un diverso racconto ha il potere di cambiare le nostre opinioni? E i nostri comportamenti?
 
Televisione e social network sono i canali più utilizzati dal campione, che riconosce come i media abbiano il potere di definire (e dunque anche di cambiare) il modo in cui le persone percepiscono i ruoli di genere all’interno della società. Che sia per causa o per effetto, che si tratti di film, serie TV, programmi televisivi, stampa o pubblicità, i media, con la loro vasta portata e influenza, esercitano un potere significativo nel creare, perpetuare e amplificare narrazioni e stereotipi, plasmando così le percezioni e le prospettive della società.
 
 
Differenze generazionali
Solo il 35% ritiene che i media trattino le tematiche di genere in modo adeguato. E se ci si chiede se la distanza di genere in questa percezione sia determinante, il dato più rilevante è piuttosto nell’appartenenza generazionale. Marchiata da una differente memoria storica, cresciuta in piena rivoluzione woke, la GenZ evidenzia la superficialità (40%) dei media sia per quantità che per qualità dei contenuti mentre i boomers sottolineano l’esagerazione (42%) dei toni e la volontà di seguire la moda del momento.
 
Per quanto riguarda la percezione del mondo dell’informazione, un terzo del campione intervistato pensa che le donne giornaliste siano meno del 30%, anche se in realtà in Italia le giornaliste costituiscono il 42% del totale degli iscritti all’albo (Osservatorio sul giornalismo, edizione 2020). Da qui la sensazione che sulla stampa ci siano più articoli di giornalisti che di giornaliste (lo dichiara il 45%). E il linguaggio usato? Per il 37% troppo spesso è sessista e discriminatorio e finisce per sminuire il ruolo della donna. Non a caso un titolo come «Sara, Michela e Monica sono le prime comandanti dell’Esercito italiano: le donne presto ai vertici» risulta corretto agli occhi e alle orecchie del 68% del campione, persino tra il 65% delle donne.
 
Anche le aziende con la loro comunicazione sono state sezionate dall’analisi: il 61% del campione ritiene che i brand abbiano il dovere di assumersi la responsabilità di non alimentare gli stereotipi di genere durante la pubblicizzazione dei loro prodotti. Si richiede un’adesione valoriale alla questione e una unità di intenti che deve essere trasversale a tutti i soggetti in campo, sia uomini che donne. E infatti, il 39% del campione preferisce acquistare prodotti di marchi che fanno campagne pubblicitarie che rappresentano la donna in modo attento e moderno.
 
Il linguaggio della politica
Sul versante politico, suona corretta per il 65% del campione la scelta di Giorgia Meloni di farsi chiamare “il” Presidente del Consiglio, posizione criticata fortemente solo dal 9% degli intervistati. Eppure la lingua gioca un ruolo fondamentale nella costruzione sociale della realtà e dunque anche dell’identità di genere, come ben spiega la sociologa Graziella Priulla nel libro “Parole tossiche. Cronache di ordinario sessismo” (settenove). Parlando di “incultura della sopraffazione”, Priulla delinea il ritratto di un Paese che veicola con insistenza una rappresentazione distorta della donna, legata al corpo e alla sessualità, mentre fatica a definire l’agire e le scelte di vita femminili in ambiti professionali, soprattutto se non tradizionali (basti pensare alle difficoltà grammaticali nel riconoscere valore a parole come “ingegnera”, “sindaca”, “chirurga”).
 
E così “il sistema approfitta dell’insicurezza generale innestando nuove dinamiche: nel vuoto che si è creato ha inserito una subcultura di stereotipi che si rifà più o meno esplicitamente a un linguaggio di mercato e che invade tutto l’ambito dei rapporti, mettendo al posto di relazioni umane una serie di logiche provenienti da tutt’altri interessi e minando ogni possibilità di liberazione”. Ecco infatti che sul futuro delle donne in politica, nonostante una presidente del consiglio e una segretaria al principale partito all’opposizione, il campione si spacca a metà: il 53% le vede in aumento (51% se si considerano solo le donne). 
 
Certo una cosa è la percezione della rappresentazione, altra cosa è la realtà della società: il 23% (20% tra le donne) del campione vede una evoluzione significativa del ruolo della donna nella nostra società negli ultimi 30 anni, mentre è il 19% (15% tra le donne) a riscontrare questa evoluzione nella sua rappresentazione sui media.
 
Secondo il Presidente di Consumers’ Forum Sergio Veroli “La crescita culturale e civile di una società passa anche attraverso il modo in cui è rappresentata l’immagine femminile nei media. La survey ha evidenziato che siamo ancora indietro. I cittadini chiedono al mondo della comunicazione di contribuire in modo più esplicito ad abbattere gli stereotipi e i pregiudizi che assegnano alla donna un ruolo ancora troppo marginale e subalterno all’uomo. I cittadini chiedono una forte accelerazione culturale che produca valori nuovi e comportamenti diversi.
 
Articolo di Letizia Giangualano
per Alley Oop de Il Sole 24 Ore
 
In occasione del Convegno di Consumers' Forum "L'immagine della Donna tra vecchi e nuovi media", del 6 marzo 2024 a Milano
 
 
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