societaresponsabileL'ultima versione del Regolamento varata dall'Antitrust amplifica il ruolo della responsabilità sociale delle imprese. Per avere il rating occorre rispettare mercato, consumatori, dipendenti e fisco. E riceve un premio chi entra negli indici di sostenibilità. Prende progressivamente forma il rating di legalità. E, nella sua continua e necessaria palingenesi (rimanendo esso uno strumento nuovo e innovativo), si contorna sempre più come un “premio” dell’Authority pubblica (in questo caso, l’Antitrust) alla responsabilità sociale di impresa. Capace, anche, di individuare i parametri concreti su cui misurare questa responsabilità.

L’ultima versione del Regolamento, le cui modifiche sono state Pubblicate in Gazzetta Ufficiale n. 213 del 12 settembre 2016, estende e dà concretezza a quello che, nella stesura iniziale, era un generico richiamo all’adozione di modelli di Csr. Questa estensione avviene sia attraverso una stretta ai requisiti per ricevere il rating e le “stellette” (parametro che ne misura, con un massimo di tre, il livello). Sia tramite un intervento sui meccanismi premianti.

UNA STRETTA SULLE COLPE SOCIALI

Nato come un rating impostato sul mancato rispetto delle norme, tanto da attirarsi le critiche di chi lo vedeva snaturato a “fedina penale” dell’azienda, la quale veniva incentivata unicamente a rispettare leggi che già doveva rispettare, il rating si arricchisce oggi di importanti vincoli sociali. Che trasformano la fedina penale, appunto, in “fedina della propria responsabilità sociale”.

La nuova versione del regolamento, infatti, introduce nuovi requisiti per accedere al rating. Oltre al rispetto della lunga serie di disposizioni penali, l’azienda che ambisce al riconoscimento deve adesso rispettare le condizioni: 1) di non essere destinataria di provvedimenti di condanna dell’Autorità e della Commissione europea per illeciti antitrust gravi; 2) di non essere destinataria di provvedimenti di condanna dell’Autorità per pratiche commerciali scorrette, ai sensi dell’art. 21, commi 3 e 4 del codice del consumo; 3) di non essere destinataria di provvedimenti dell’Autorità competente di accertamento del mancato rispetto all’obbligo di pagamento di imposte e tasse e di accertamento di violazioni in materia di obblighi retributivi, contributivi e assicurativi e di obblighi relativi alle ritenute fiscali concernenti i propri dipendenti e collaboratori; 4 di non essere destinataria di provvedimenti dell’Autorità competente di accertamento del mancato rispetto delle previsioni di legge relative alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Certo, si tratta, comunque e ancora, di rispettare regole che l’azienda deve rispettare a prescindere. Tuttavia, in quanto esterni al penale, sono ambiti su cui le imprese si sono sempre mosse con maggior grado di discrezionalità. Anche in ragione di un biasimo pubblico non troppo pesante. E diventa invece significativo allinearne l’importanza (il peso) ai reati già contenuti nel regolamento.

In tal modo, per ottenere il rating l’azienda deve rispettare in egual misura il codice penale così come i propri stakeholder, nella figura del mercato, dei consumatori e dei propri dipendenti. E viene posto risalto all’impegno fiscale, anche nella sua variante contributiva e assicurativa.

UN PREMIO AI PIÙ ETICI

Il Regolamento attuale ha inoltre ampliato e meglio specificato il meccanismo premiante legato alla responsabilità sociale. Oltre al già presente punteggio aggiuntivo per chi si è dotato di un modello 231 e per chi ha adottato «processi volti a garantire forme di Corporate Social Responsibility» spuntano due parametri interessanti. Viene premiata l’adozione di «clausole di mediazione, quando non obbligatorie per legge, nei contratti tra imprese e consumatori per la risoluzione di controversie» nonché di «protocolli tra associazioni di consumatori e associazioni di imprese per l’attuazione delle conciliazioni paritetiche».

Infine, viene enfatizzata «l’acquisizione di indici di sostenibilità». Un ambito che, in Italia, resta piuttosto confuso (vedi articolo Ftse-Mib in confusione sugli indici Sri) se non penalizzante. Dopo l’ultimo aggiornamento del Djsi, per esempio, che ha bocciato tre big italiane, l’Italia ha fatto un ulteriore passo indietro: restano sei Italiane nell’indice World contro le 36 inglesi, le 28 francesi e le 16 tedesche.

Insomma, il riconoscimento di Stato certificato con il rating di legalità può aiutare, quanto meno, a compiere un passaggio di consapevolezza.

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