In Inghilterra cresce il mercato dei discount. Come nel nostro Paese. Il punto con Antonio Russo di Alleanza contro la povertà.

È certo un modo per risparmiare. Andare al discount, o meglio, farlo con una frequenza maggiore rispetto al passato, dice molto. Moltissimo. In Inghilterra, i dati di Natale di alcune catene di generi alimentari low cost sono da brindisi. E non è un dato spot, quanto una continua a lenta conquista di fette di mercato. È l’altra faccia della medaglia dell’aumento dei prezzi di bollette energetiche, benzina e beni per la casa. Con l’inflazione al 6,7%, i cittadini del Regno Unito non solo entrano più spesso nei discount, ma acquistano anche più prodotti con il marchio del distributore. E in Italia? Anche da noi la crisi si abbatte sui consumi alimentari.

Anche i marchi del distributore
Come per i costi delle bollette, anche sul cibo si fa sentire l’aumento dei prezzi. Ed è così che crolla l’acquisto dei prodotti più cari, tipo carne e pesce, mentre volano i carrelli dei discount. E anche qui si fa più attenzione al risparmio piuttosto che alla fedeltà al canale di acquisto, sceglie spesso il discount o si affida al marchio del distributore come un’ancora di salvezza.

Secondo i dati del Rapporto Coop 2023, il 90% dei consumatori ha ridotto gli sprechi, il 63% ha iniziato o aumentato la frequenza di spesa nei discount. Lo studio Luci e ombre per l’agricoltura italiana messo a punto da Nomisma per la Cia – Agricoltori Italiani conferma. Gli italiani sono più preoccupati della media Ue per l’inflazione, per il rischio povertà e per la guerra: il 51% dei cittadini è in difficoltà economica contro il 45% del resto dell’Europa. E gli effetti della crisi, si evidenzia, si fanno sentire soprattutto sui consumi alimentari, tanto che l’84% cambia le proprie abitudini e il 46% dice “no” al superfluo. Il taglio riguarda soprattutto i prodotti più costosi, tipo carni rosse (-14%), pesce (-9%), salumi (-8%), vino (-6%).

Soltanto il 22% non rinuncia alla qualità. Sul fronte opposto prendono il largo, appunto, i discount, che crescono al ritmo del +12% in un anno, precisa il report.

6 famiglie su 10 faticano ad arrivare a fine mese
«Per il 2024, al netto di improbabili cambi di direzione e con un indice di povertà pericolosamente salito nel corso di questi anni, la situazione nel nostro Paese è destinata a peggiorare», sottolinea Antonio Russo, portavoce di Alleanza contro la povertà, associazione che raggruppa un ampio numero di soggetti sociali (35), tra loro, Acli e Caritas, Action Aid, Anci, Azione Cattolica Italiana, Cgil, Cisl, Uil, Cnca, Comunità di Sant’Egidio, Confcooperative.

I dati sono noti: 2,2 milioni di famiglie vivono in povertà assoluta: l’8,3 per cento sul totale, parliamo di 5,7 milioni di persone: il 9,7 per cento sul totale (entrambi questi numeri sono cresciuti rispetto al 2021 di 0,6 punti percentuali). «Tra i paesi dell’Unione Europea siamo quello in cui le famiglie hanno più difficoltà ad arrivare alla fine del mese: il 63%, contro una media Ue del 45,5%». Dati su cui pesano una serie di fattori, tra cui «l’inflazione, una tassa piatta su chi non ce la fa, che colpisce soprattutto le persone che hanno meno possibilità dal punto di vista economico».

3 milioni di lavoratori poveri
In questo quadro, è cambiato nel tempo l’idea stessa di povertà, che non è solo assenza di lavoro, ma è legata a doppio filo al lavoro cosiddetto povero. Ci sono in Italia 3 milioni di donne e uomini che, pur avendo un impiego, non ce la fanno ad arrivare a fine mese. E sono dati sull’emerso. «Se continuiamo ad avere contratti nei quali le persone sono pagate 4,50-5 euro l’ora non c’è da stupirsi». Per Russo «con la legge 85 del 2023», quella che ha superato il reddito di cittadinanza, «abbiamo fatto un passo indietro di 6-7 anni». L’abbandono del principio universalistico delle misure di contrasto della povertà e il ritorno al «criterio delle categorie, farà aumentare la povertà».

Secondo i dati di Eurostat, 95,3 milioni di persone, pari al 21,6% della popolazione, sono a rischio povertà o esclusione sociale. «In Europa la povertà colpisce 48 milioni di persone in democrazie ed economie forti e quando in un paese come l’Inghilterra emergono quei dati vuol dire che la situazione è molto è molto grave».

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