Il 2014 è un anno cruciale per la privacy dei cittadini europei. Le istituzioni comunitarie stanno ragionando da tempo su come aggiornare al meglio le norme sulla protezione dei dati personali che attualmente risalgono al 1995, praticamente alla preistoria dell’era digitale. Basti pensare che in quell’anno il fondatore di Facebook aveva appena 11 anni ed era impossibile immaginare la diffusione capillare che avrebbero avuto smartphone e social network. Oggi chi usa uno smartphone ha, in media, 40 applicazioni in grado di raccogliere e diffondere dati sensibili. Le informazioni personali sono ormai la moneta dell’economia digitale: interi modelli di business si fondano sullo scambio di dati e un recente studio ha stimato il valore del mercato europeo dei dati personali in 50 miliardi di euro. Cifra che potrebbe crescere in modo più che esponenziale, arrivando quest’anno addirittura a 350 miliardi. La domanda delle domande è: cosa vuol dire, nell’era digitale, tutelare il diritto alla privacy? Non si tratta più del semplice rispetto della riservatezza della sfera personale; oggi si fa riferimento ad un diritto più ampio che ognuno di noi dovrebbe avere sulla diffusione e sull’utilizzo di tutte le informazioni che riguardano la propria persona. Una materia tanto delicata quanto fondamentale: le nuove tecnologie aprono continuamente nuovi scenari che a volte sono sconosciuti agli stessi operatori del settore. Non possiamo quindi accontentarci di norme così vecchie. L’Europa deve trovare presto un accordo su nuove leggi per la protezione dei dati.
Due anni fa la Commissione Europea ha proposto una riforma radicale e gli Stati membri stanno ragionando attorno ad essa per arrivare all’approvazione. Ad ottobre 2013 la Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) del Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza a favore delle proposte della Commissione e nel frattempo ne ha discusso anche il Consiglio “Giustizia e affari interni”. Ma il passo più importante è stato fatto il 12 marzo dai deputati europei in Plenaria che, a larga maggioranza, hanno votato a favore della riforma proposta dalla Commissione Europea rafforzando ulteriormente l’architettura sia della direttiva sia del regolamento, che costituiscono il pacchetto di riforma sulla protezione dei dati.
In occasione della Giornata europea della protezione dei dati, che si celebra ogni anno il 28 gennaio, la Rappresentanza in Italia della Commissione UE ha organizzato un convegno molto interessante durante il quale il Vicecapo Unità Protezioni dei dati personali della Direzione generale Giustizia della Commissione UE, Bruno Gencarelli, ha ricordato gli elementi centrali della riforma:

  • maggiore armonizzazione e semplificazione della disciplina, che permetterà di superare l’attuale frammentazione del mercato, gli alti costi e i tempi lunghi imposti alle imprese. Grazie al meccanismo dello “sportello unico” (detto one-stop-shop) ogni operatore dovrà essere soggetto alla vigilanza di un’unica autorità garante per qualsiasi operazione riguardante i dati personali.
  • potenziamento degli aspetti normativi di vigilanza, che prevedono sanzioni fino al 2% del fatturato della società che ha violato la privacy;
  • rafforzamento dei diritti dei cittadini: accanto a quelli tradizionali, si prevedono una serie di strumenti innovativi per garantire il diritto all’oblio, una maggior tutela dei minori, il diritto alla portabilità dei dati (come nel caso della telefonia), e una tempestiva informazione agli interessati in caso di accesso illegittimo ai dati.

Per accelerare i tempi di approvazione della riforma, la Commissaria europea per la Giustizia Viviane Reding ha proposto un “Patto di protezione dei dati personali per l’Europa” fondato su 8 principi, tra cui il fatto che i dati dovrebbero essere raccolti in modo mirato e limitatamente a quanto proporzionato per il conseguimento delle finalità previste (la sorveglianza totale e indiscriminata dei dati delle comunicazioni elettroniche è inaccettabile) e che la sicurezza nazionale non è una motivazione che si possa addurre ad ogni piè sospinto (dovrebbe essere l’eccezione, non la regola). Infine, un messaggio agli americani: le norme sulla protezione dei dati personali dovrebbero applicarsi quale che sia la cittadinanza dell’interessato; dato il carattere aperto di internet, non ha senso applicare ai cittadini degli altri paesi criteri diversi rispetto ai propri cittadini.

L’Italia potrà giocare un ruolo decisivo nell’approvazione della riforma sulla privacy: prima di tutto perché il nostro Paese ha un Codice della privacy molto avanzato, considerato un modello in Europa, e poi perché dal 1° luglio l’Italia è alla guida del semestre europeo. La presidenza greca del primo semestre ha già inserito l’adozione della riforma nella tabella di marcia, ed è molto probabile che entro la fine del 2014 si raggiungerà l’obiettivo.

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