Nicola D'Angelo - Commissario Agcom

“Il digital divide non è solo mancanza di infrastrutture. Spesso è un problema economico. Una famiglia non riesce a pagare i costi di un accesso ad internet. Il Governo deve decidersi perciò a riesaminare la questione del servizio universale. La connessione di larga banda deve entrare nel livello minimo di servizio garantito a costi economicamente sostenibili ovunque sul territorio nazionale. Infine, non ci si illuda, la vera questione dell’NGN italiano passa attraverso il futuro della rete Telecom del suo sviluppo e della sua qualità”. Il Commissario Agcom, Nicola D'Angelo, ha chiare le cause del ‘digital divide’.

L’Europa si è dotata di un’agenda digitale che ha obiettivi ambiziosi di copertura rete e utilizzo di internet da parte dei cittadini, pubblica amministrazione e imprese . A che punto siamo in Italia?
L’agenda digitale italiana sembra effettivamente partire. La banda larga a tutti (entro il 2020 quella larghissima) dovrebbe diventare un obiettivo concreto. Ci sarebbero i soldi, soprattutto per il sud, ci sarebbero le idee. Dunque tutto bene? Intanto una certezza, finalmente anche chi ci governa ha capito l’importanza sociale ed economica dello sviluppo digitale. Se ne sono accorti anche i grandi giornali che ormai dedicano al problema intere pagine delle loro edizioni. Pare che se ne siano accorti anche i politici, o almeno alcuni di essi, a giudicare dagli emendamenti presentati ai vari decreti legge del Governo. É vero sempre con un po’ di strabismo: sì a quello sui costi di manutenzione della rete Telecom, no a quelli su un uso più efficiente ed economicamente vantaggioso delle frequenze, ma si sa l’Italia é la culla dei liberalizzatori a fase alterna. Molte idee dell’agenda sono interessanti e spesso sono il frutto di suggerimenti che da tempo circolano tra gli addetti ai lavori.

Il documento di Governo contiene alcune indicazioni proposte da Agcom?
Sì, è quanto avviene ne caso di POS, cloud computing nella pubblica amministrazione, smart city. O ancora l’attenzione ad un programma di alfabetizzazione informatica (anche se l’approccio mi pare un po’ superato. È inutile che vai a spiegare ad un nativo digitale come funziona un computer o internet, gli devi invece far comprendere quello che ci può fare, oltre che stare tutto il giorno a chattare o su un social network). C’é poi la questione che per caratteristiche demografiche il nostro é un paese in cui la maggior parte delle persone non può essere oggetto di una campagna scolastica di alfabetizzazione informatica. Recentemente ho sottolineato come nell’ambito di in una rinnovata missione del servizio pubblico radiotelevisivo dovesse essere centrale il ruolo della Rai in questo processo. Mi pare di capire che qualcosa c’é nel documento del Governo. D’altra parte, l’arretratezza italiana non è solo il frutto di una mancanza di conoscenza ma soprattutto è causata dall’assenza di percezione dell’utilità di questi strumenti. La tecnologia vince se serve o almeno se è percepita come utile. Si tratta di un dato antropologico ineludibile. Per questo ho spesso suggerito di affiancare la messa in campo di strumenti che rendano più semplice l’uso delle opportunità offerte da internet, soprattutto nel rapporto con la pubblica amministrazione o nei pagamenti. Sul tema delle reti va certamente valutato positivamente l’impegno a reperire fondi in parte nazionali, in buona parte comunitari, da destinare allo sviluppo delle stesse. Restano tuttavia delle perplessità. Per prima cosa non si può sviluppare una infrastruttura digitale senza parlare anche di frequenze. Oggi per reti si deve intendere un sistema convergente e flessibile in cui i concetti di fisso e mobile sono declinati in base alle circostanze. Quello delle frequenze resta però un tabù anche per l’agenda digitale.

Secondo gli operatori Tlc, gli OTT godono di una sostanziale assenza di regolazione mentre loro sostengono i costi dell’esplosione del traffico. Il tema ha una rilevanza mondiale, quali sono le prospettive di intervento secondo lei?Quando un anno fa ho posto il problema di un possibile intervento regolatorio in relazione al rapporto tra fornitori di accesso e OTT molti storsero il naso. Oggi il problema è sotto gli occhi di tutti, aggravato dalla circostanza che alcune piattaforme non sono neppure aperte. I grandi aggregatori hanno sfruttato la neutralità della rete, che resta un bene primario, ma hanno restituito al sistema forme di chiusura. C’è poi il ruolo delle content delivery che spesso governano questo rapporto. Insomma è tempo di una riflessione. Traccia di questo problema c’è nell’ultima delibera che l’ Agcom ha adottato per la disciplina delle reti di nuova generazione. Un ruolo importante deve essere svolto dalla UE. La Commissione dovrebbe infatti condividere l’adozione di regole comuni su questi fenomeni. Rischiamo di parlare di concorrenza e sviluppo delle reti mentre la sproporzione dei ricavi tra operatori dell’accesso e OTT può compromettere il mercato interno delle comunicazioni elettroniche e soprattutto rischia di creare due mondi di consumo diverso: quello di chi accede ai contenuti a pagamento e quello di chi non avendo questa possibilità si deve accontentare di una qualità minore, pesantemente condizionata dalla pubblicità o da limitazioni della privacy.

 

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