Essenziale ridurre al minimo l’impatto degli strumenti di tracciamento sui nostri diritti fondamentali e libertà
Nell’ottica di far ricorso ad app di tracciamento per monitorare l’andamento della pandemia Covid-19, la protezione dei dati personali dei cittadini non può considerarsi “un problema, ma anzi fa parte della soluzione”. Lo ribadisce con fermezza il Garante europeo dei dati personali, Wojciech Wiewiorowski, in uno scambio di vedute con la commissione per le libertà civili dell’Europarlamento sulle applicazioni di tracciamento dei contatti a cui molti paesi, Italia compresa, stanno lavorando per gestire la “fase 2” della pandemia, la convivenza con il virus.


Al momento è in corso a livello sia nazionale sia europeo una valutazione sulla misura in cui raccolta dati e tecnologia possano contribuire a contrastare un’eventuale risalita nella curva dei contagi. Il tema è però scivoloso e si lega alla necessità di tutelare i dati personali dei cittadini, restando in linea con la legge europea sulla privacy (GDPR). L’Unione europea ha la “responsabilità morale di usare gli strumenti tecnologici di cui disponiamo per combattere il Coronavirus, ma abbiamo anche la responsabilità di ridurre al minimo l’impatto sui nostri diritti fondamentali e libertà, compreso il diritto alla protezione dei dati personali”, sostiene il Garante. È in programma un’analisi “delle implicazioni a lungo termine di questa pandemia per i diritti e le libertà fondamentali”, che sarà elaborata entro la fine dell’anno.

Se la supervisione e la trasparenza da parte delle istituzioni sono fondamentali per la protezione dei dati in tempi normali, ancora più importanza acquistano in tempi di crisi ed emergenza. E in questa “nuova normalità” imposta forzatamente dalla pandemia, “non si dovrebbe lasciare il posto all’erosione permanente dei diritti per i quali abbiamo combattuto così a lungo”. Tra i rischi evidenziati anche la preoccupazione che alcuni governi possano utilizzare la raccolta di dati per fini politici o per limitare la libertà delle persone. Su questo Wiewiórowski ha già ammonito i governi UE sul fatto che i dati raccolti potranno essere utilizzati solo per lo scopo di contrastare la diffusione del Coronavirus.


Quanto al ricorso alla tecnologia per progredire in questa nuova fase della crisi, il Garante UE chiede espressamente “la solidarietà digitale dell’UE e un approccio paneuropeo contro la pandemia”, dove solidarietà digitale significa garantire che i dati e la tecnologia funzionino per tutte le persone in Europa e in particolare a tutela dei più vulnerabili (anziani e bambini, sprovvisti in molti casi di competenze tecnologiche adeguate). Segnali positivi, afferma ancora il polacco, arrivano dalla tecnologia Bluetooth, che consente di inviare messaggi a poche centinaia di metri di distanza, di cui usufruiscono Apple e Google per sviluppare una piattaforma comune per il monitoraggio dei contagi.

Da Bruxelles viene ribadito che il ricorso ad app di contact tracing dovrebbe essere su base volontaria per i cittadini, “per garantire la fiducia dell’opinione pubblica”. Per lo stesso motivo, quando i dati personali vengono elaborati è fondamentale il rispetto delle regole per la privacy, “altrimenti non ci sarà fiducia nella tecnologia”. Creando un sistema di ricorso volontario alla tecnologia, bisognerà però fare attenzione a non creare discriminazione nei confronti di chi, invece, non vuole o non può utilizzarla.

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