Il contributo illustra le principali innovazioni apportate al codice di consumo dal Decreto Legislativo 7 marzo 2023, n. 26 (G.U. 18 marzo 2023, n. 66) con cui si è data tardivamente attuazione alla c.d. direttiva omnibus. Le modifiche e le integrazioni operano sia sul piano della repressione delle violazioni, sia su quello delle regole sostanziali di tutela, dove si coglie la necessità di fronteggiare con maggiore efficacia le inside proprie della contrattazione digitale.

La Direttiva (UE) 2019/2161, generalmente nota come ‘direttiva omnibus’, si prefiggeva l’obiettivo – dichiarato sin dal titolo – di modernizzare il diritto eurounitario dei consumatori e di migliorarne l’applicazione. Le nuove regole dovevano essere recepite dagli Stati membri entro il 28 novembre 2021 e le disposizioni nazionali all’uopo emanate dovevano a propria volta diventare operative entro il 28 maggio 2022. Nonostante il tempo concesso per confermare l’ordinamento interno alle regole di matrice sovranazionale fosse piuttosto ampio, la schiera dei ritardatari si è rivelata alquanto folta. Ben 22 infatti erano state le lettere di messa in mora inviate dal Commissione europea all’inizio del 2022. La partita non si è ancora formalmente chiusa per 12 Paesi; e in 8 di questi casi, compreso quello italiano, la Commissione ha provveduto, tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023, a emettere il parere motivato con cui si cristallizza l’addebito. A tale atto ha fatto seguito il varo di alcuni provvedimenti di trasposizione: si pensi al Lussemburgo (Loi del 30 novembre 2022) o al Portogallo (Lei n. 10/2023 del 3 marzo 2023). Quanto all’Italia, Il Governo, che era stato già tardivamente delegato ad attuare al direttiva (L. 24 agosto 2022, n. 167), ha finalmente varato in via definitiva il conseguente decreto legislativo nella seduta del 23 febbraio 2023. Dunque, sia pure non rispettando la tempistica prevista dalle istituzioni eurounitarie, vanno a innestarsi nel codice del consumo varie norme che arricchiscono l’armamentario a disposizione dei soggetti attestati sull’ultimo gradino della catena distributiva e accrescono l’efficacia di contrasto delle misure repressive adottate dall’Authority. Le principali innovazioni apportate dal decreto legislativo saranno passate in rassegna nel presente scritto.

Focalizzando l’attenzione principalmente sull’ammodernamento della disciplina sostanziale, non si fa fatica a notare come numerosi – e significativi – siano gli interventi direttamente correlati all’esigenza di dare risposte più adeguate alle sfide poste dalla messa in opera di procedure e dispositivi tecnologici sempre più sofisticati.

A tale proposito, nel codice del consumo erano già state inserite verso la fine del 2021 le disposizioni, anch’esse di matrice eurounitaria, riguardanti i «contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali» (artt. 135-octies ss.). Con il Decreto Legislativo in esame si compie un vero e proprio upgrade nelle strategie di contrasto alle insidie proprie degli odierni contesti contrattuali, dove si vanno diradando i contatti interpersonali diretti tra venditori (o erogatori di servizi) e consumatori. Questo salto di qualità si può cogliere già sul piano dei concetti e delle categorie. Non soltanto perché alcune nozioni (quella di “servizi digitali” e altre alla medesima connesse, quali “compatibilità”, “funzionalità”, “interoperabilità”), già riferite al summenzionato ristretto gruppo di contratti, vengono riproposte per un’area ben più estesa di rapporti B2C. Ma anche, e soprattutto, in virtù del fatto che fanno la loro apparizione nozioni inedite, che si attagliano alle modalità di punta della commercializzazione di beni e servizi attraverso le reti telematiche. Il riferimento è in primis alla locuzione “mercato online” (con l’abbinata figura soggettiva del “fornitore di mercato online”), dietro la quale si scorgono le sembianze della piattaforma di intermediazione, snodo ormai cruciale per il dispiegarsi dell’attività negoziale dei consumatori.

Rimanendo sempre nell’ambito degli interventi calibrati sulla contrattazione digitale, anche per le regole operative si assiste allo stesso duplice fenomeno che si è constatato per le definizioni.

In alcuni casi si registra una trasmigrazione dal settore dei «contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali» al campo dei «diritti dei consumatori nei contratti». È così, in base al nuovo comma 1-bis dell’art. 46, le disposizioni che vanno dall’art. 48 all’art. 67 trovano applicazione anche ove «il professionista fornisce o si impegna a fornire un contenuto digitale mediante un supporto non materiale o un servizio digitale al consumatore e il consumatore fornisce o si impegna a fornire dati personali al professionista». Ipotesi, quella della fornitura di dati come controprestazione che (sia pure con una formulazione non perfettamente sovrapponibile) era presa in considerazione già dal 4° comma dell’art. 135-octies, laddove comportava l’applicazione delle norme stabilite per il ricordato settore. Come pure ricalca quella precedentemente sancita in quell’ambito, l’esclusione concernente «i casi in cui i dati personali forniti dal consumatore siano trattati dal professionista esclusivamente ai fini della fornitura del contenuto digitale su supporto non materiale o del servizio digitale […] o per consentire l’assolvimento degli obblighi di legge cui il professionista è soggetto, e questi non tratti tali dati per nessun altro scopo».

Passando al rilievo attribuito ai “mercati online”, oltre a addossare al relativo fornitore una serie di obblighi di informazione supplementari, si stabilisce che, in relazione ai prodotti ivi offerti, integra gli estremi di una pratica ingannevole non specificare se il terzo che offre i prodotti «è un professionista o meno, sulla base della dichiarazione del terzo stesso al fornitore».

Un’altra inclusione nel novero delle omissioni ingannevoli attiene al c.d. posizionamento: qualora il gestore di una piattaforma (differente da un motore di ricerca) offra ai consumatori la possibilità di cercare prodotti offerti da professionisti diversi o da consumatori sulla base di una ricerca sotto forma di parola chiave, frase o altri dati, essa dovrà rendere disponibili in un’apposita sezione dell’interfaccia online, che sia direttamente e facilmente accessibile dalla pagina in cui sono presentati i risultati della ricerca, informazioni generali circa i parametri principali che determinano la classificazione dei prodotti presentati al consumatore come risultato della sua ricerca e all’importanza relativa di tali parametri rispetto ad altri parametri. Tale obbligo si giustappone a quelli riguardanti il posizionamento (in questo caso incombenti anche sui fornitori dei motori di ricerca online), che sono stabiliti all’art. 5 del Regolamento (UE) 2019/1150, che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online. Allo stesso ambito attiene la declaratoria di ingannevolezza della pratica posta in essere dal gestore di una piattaforma che, pubblicando tra i risultati della ricerca online annunci pubblicitari a pagamento o pagamento specifico per ottenere una classificazione migliore dei prodotti all’interno di tali risultati, non indichi con chiarezza al consumatore tali annunci.

Si cerca, poi, di neutralizzare un’altra prassi distorta del modello di business delle piattaforme (ivi comprese quelle c.d. di condivisione), vale a dire la presenza di recensioni non genuine su cui i potenziali acquirenti ripongono affidamento. A tal fine, il nuovo comma 5-bis dell’art. 22 impone al professionista di rivelare se e in che modo garantisce che le recensioni pubblicate provengano da consumatori i quali hanno effettivamente acquistato o utilizzato il prodotto. E nel successivo art. 23, vengono tacciate di ingannevolezza le seguenti pratiche: «indicare che le recensioni di un prodotto sono inviate da consumatori che hanno effettivamente utilizzato o acquistato il prodotto senza adottare misure ragionevoli e proporzionate per verificare che le recensioni provengano da tali consumatori»; «inviare, o incaricare un’altra persona giuridica o fisica di inviare, recensioni di consumatori false o falsi apprezzamenti o di fornire false informazioni in merito a recensioni di consumatori o ad apprezzamenti sui media sociali, al fine di promuovere prodotti».

Mette conto di segnalare altresì la disposizione di cui alla nuova lett. e-bis dell’art. 49 che, nel contesto della disciplina per i contratti a distanza e negoziati fuori dei locali commerciali, prende in esame l’ipotesi in cui il prezzo è stato personalizzato sulla base di un processo decisionale automatizzato (nei limiti in cui il GDPR ammette un processo di questo genere), disponendo che il consumatore ne sia reso edotto.

Non è possibile in questa sede dar conto di tutti gli aggiornamenti al codice del consumo. Tra quelli di spicco può comunque annoverarsi l’introduzione di una norma dedicata agli annunci di riduzione di prezzo (art. 17-bis), i quali inevitabilmente attirano l’attenzione dei consumatori e sono suscettibile di influenzare le sue preferenze. Si prescrive che tali annunci indichino il prezzo precedente applicato dal professionista per un determinato periodo di tempo prima dell’applicazione di tale riduzione, con la precisazione che per prezzo precedente si intende il prezzo più basso applicato dal professionista durante un periodo di tempo non inferiore a 30 giorni prima dell’applicazione della riduzione del prezzo. Avvalendosi di una facoltà concessa dalla direttiva, il legislatore italiano ha peraltro previsto un’esenzione dagli anzidetti obblighi per i prodotti agricoli e alimentari deperibili.

Un’ulteriore misura riguarda il termine per l’esercizio del recesso da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali, il quale viene prolungato (rispetto agli ordinari 14 giorni) fino a 30 giorni nelle ipotesi in cui il contratto si perfezioni nel contesto di visite non richieste di un professionista presso l’abitazione di un consumatore (salvo che si tratti di visite richieste da un consumatore e non organizzate dal medesimo in forma collettiva) oppure di escursioni organizzate da un professionista con lo scopo o con l’effetto di promuovere o vendere prodotti ai consumatori.

Volgendo infine lo sguardo al restylingdell’apparato sanzionatorio, il massimo edittale della sanzione amministrativa pecuniaria prevista in caso di pratiche commerciale scorretta è stato raddoppiato, giungendo a 10 milioni di euro (art. 27, comma 9). Lo stesso tetto si applica alla sanzione conseguente all’accertamento dell’uso di clausole vessatorie da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (art. 37-bis, comma 2-bis). Nell’uno e nell’altro caso, al cospetto di infrazioni che riguardano più Stati membri (riconducibili alle nozioni di infrazione diffusa e di infrazione diffusa avente una dimensione unionale, di cui al
Regolamento (UE) 2017/2394), ci si può spingere fino al 4 per cento del fatturato annuo del professionista realizzato in Italia ovvero negli Stati membri dell’Unione europea interessati dalla relativa violazione. Per le pratiche commerciali scorrette si aggiunge che, ove le informazioni sul fatturato annuo non siano disponibili, l’importo massimo è pari a 2 milioni di euro.

Quanto al c.d.private enforcement, di indubbio interesse è la disposizione che attribuisce espressamente ai consumatori lesi da pratiche commerciali sleali la possibilità di «adire il giudice ordinario al fine di ottenere rimedi proporzionati ed effettivi, compresi il risarcimento del danno subito e, ove applicabile, la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, tenuto conto, se del caso, della gravità e della natura della pratica commerciale sleale, del danno subito e di altre circostanze pertinenti», facendo salvi gli altri rimedi disponibili (art. 27, comma 15-bis).

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