Tiziana Toto
Responsabile settore
energia Cittadinanzattiva

L’Acqua è un bene comune che necessita di una gestione efficiente.
L’inefficienza del servizio idrico costituisce un dato di fatto in ampie zone del nostro Paese. La gestione del servizio presenta ancora un’eccessiva frammentarietà; le reti continuano a versare in uno stato di usura tale da provocare la perdita media del 35% dell’acqua immessa nelle tubature ed il 30% della popolazione italiana è sottoposto ad un approvvigionamento discontinuo ed insufficiente. Gli investimenti non bastano (su circa 6 miliardi di euro previsti al 2008 solo il 56% è stato realizzato) e non giustificano il costante aumento delle tariffe (+64,4% dal 2000 ad oggi).
Le liberalizzazioni fanno bene all'economia e aumentano il benessere dei cittadini consumatori, se di queste effettivamente si tratta. In questo caso è evidente come la parola “liberalizzazione” sia usata impropriamente in luogo di “privatizzazione” in un settore strutturalmente caratterizzato dalla gestione monopolistica del servizio e con limitate possibilità di competizione.
La nostra opposizione alla privatizzazione del servizio idrico non è certamente dettata da ragioni ideologiche ma da considerazioni basate sulla pura realtà. Contrariamente alle promesse ventilate in favore della privatizzazione delle acque pubbliche che avrebbe permesso un miglioramento della qualità dei servizi, una riduzione dei prezzi della tariffa, una più grande trasparenza della gestione, in tutti i casi si è assistito, dopo alcuni mesi dell’introduzione della gestione privata, ad un aumento dei prezzi e delle tariffe molte volte del doppio o triplo delle tariffe precedenti.
Quindi la gestione sotto controllo pubblico è necessaria per assicurare l’acqua a tutti, per gestire gli investimenti necessari a riparare gli acquedotti, ma necessaria anche per risparmiare l’acqua visto che l’interesse di un privato non è certo quello della diminuzione dei consumi di un bene che vende.
Non vorremmo la moltiplicazione di episodi come quello del comune di Firenze dove è stata promossa una campagna per il risparmio idrico e un anno dopo, di fronte a una diminuzione dei consumi, il gestore ha alzato le tariffe per far quadrare i conti. Lo stesso è avvenuto ad Ascoli Piceno e a Latina, con un aumento, in quest’ultima provincia, del trecento per cento delle bollette. E cosa dire della Sicilia, dove sono presenti gli unici casi di effettiva privatizzazione del servizio e l’acqua costa più della media (Agrigento è la città più cara) mentre la qualità del servizio fornito è sicuramente inferiore alla media?
L’opinione pubblica è decisamente schierata a favore della gestione pubblica del servizio. Dal sì al referendum deve venire anche una sfida alla politica a prendersi la responsabilità di un rilancio della cultura dei servizi pubblici. Dopo molti anni in cui i servizi sono stati visti come un peso per i bilanci pubblici e una facile fonte di guadagno per politici corrotti in combutta con imprenditori avventurieri e criminalità organizzata è arrivato il momento di rimettere le cose a posto. E non significa che lo Stato deve tornare ad occuparsi di tutto ma che di alcuni servizi essenziali (ciclo dell’acqua, ciclo dei rifiuti, trasporti e, ovviamente, istruzione e sanità) non se ne può lavare le mani dicendo che ci deve pensare il mercato.
Oltre alle necessarie competenze di AEEG in materia di tariffe è necessario anche il coinvolgimento delle Associazioni dei consumatori e dei cittadini nella determinazione e nel controllo degli standard di funzionamento del servizio, in ottemperanza a quanto previsto dal comma 461 dell’art. 2 della legge 244/2007 (Legge Finanziaria 2008).

Tiziana Toto
Responsabile settore energia Cittadinanzattiva

 

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