Antonio Catricalà
Vice Ministro, Ministero dello Sviluppo Economico

Il consumerismo italiano ha fatto un percorso diverso rispetto a quello degli altri Paesi europei che potevano vantare già un terreno giuridico di tutele del consumatore. L’Italia, invece, ha scontato un gap culturale: è vero che nel 2005 abbiamo licenziato il Codice del Consumo, ma è pur vero che fino ad allora ci si affidava al Codice civile che assorbiva sostanzialmente il Codice del commercio, mettendo al centro il contratto: di fronte ad esso le parti sono uguali. A fare questo piccolo excursus "giuridico" è stato il Viceministro dello Sviluppo economico Antonio Catricalà che qualche anno fa ha presieduto l'Antitrust.

"L'altro giorno ero in Parlamento per illustrare il nuovo contratto di servizio televisivo - ha raccontato Catricalà - e una parlamentare del Movimento 5 Stelle mi ha chiesto come mai non ci fosse la possibilità di fare un'azione di classe contro la Rai nel momento in cui i cittadini non sono soddisfatti. Purtroppo io non ho avuto molto tempo per spiegare la cosa, ma il problema è culturale: i contratti di servizio si concludono tra l'amministrazione e l'azienda mentre il cittadino, che dovrebbe essere il beneficiario ultimo, viene escluso da questa negoziazione”.

Invece – ha precisato il vice ministro - il consumatore avrebbe bisogno di una tutela asimmetrica in quanto parte debole che contratta con una forte. Ma nel nostro ordinamento, rigido e restio alle novità, ciò diventa impossibile.

Catricalà si è detto favorevole all’introduzione del concetto di “abuso di potere privato” e, per finire, si è appellato allo spirito delle leggi, precisando che il Codice del consumo italiano deve riuscire ad esprimerlo. Per realizzare questo cambiamento è fondamentale il ruolo delle Associazioni dei consumatori che devono continuare a negoziare diritti e tutele con le aziende. "Ma anche per negoziare - ha concluso Catricalà - dobbiamo avere almeno la possibilità di battere un pugno sul tavolo".

 

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