sharingeconomyRegolamentare la sharing economy. L’economia della condivisione ha aperto nuove possibilità economiche, nuovi servizi per i consumatori, nuove sfide per lo sviluppo. Da tempo, e da più parti, si chiede di disciplinare i servizi che si occupano di sharing economy e in questo senso va la proposta di legge presentata ieri da un gruppo di parlamentari appartenenti all’Intergruppo Parlamentare sull’Innovazione.


“Come Intergruppo Parlamentare sull’Innovazione, pubblichiamo qui l’anticipazione della proposta di legge sull’economia collaborativa, perché pensiamo possa rappresentare un passo importante di cambiamento anche culturale della società italiana e che sia necessario, come per tutti i temi di primaria importanza, che la legislazione sia frutto di un ampio dibattito pubblico. La regolazione di questo tema è, inoltre, estremamente controversa e crediamo che coinvolgere il più ampio numero di competenze sia necessario per migliorare la proposta”: così i parlamentari introducono il testo pubblicato online e che sarà aperto a consultazione pubblica fino al 31 maggio 2016 sulla piattaforma Making Speeches Talk di Open Evidence. “Tutti i commenti che verranno inseriti saranno considerati dai deputati nella stesura della versione finale della proposta di legge”, promette l’Intergruppo.


La proposta di legge – “Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell’economia della condivisione” – individua finalità e definizione dell’economia collaborativa, interviene sulla parte fiscale – viene fissata una soglia a 10 mila euro con l’imposta al 10%, al di sopra si pagherà con l’aliquota dei redditi da lavoro o autonomo – e individua l’Antitrust come Autorità deputata al controllo e alla vigilanza delle attività delle piattaforme online.


“L’economia collaborativa, cosiddetta sharing economy, si propone come un nuovo modello economico e culturale, capace di promuovere forme di consumo consapevole che prediligono la razionalizzazione delle risorse basandosi sull’utilizzo e sullo scambio di beni e servizi piuttosto che sul loro acquisto, dunque sull’accesso piuttosto che sul possesso – si legge nell’introduzione alla proposta di legge – Essa è chiamata anche economia della condivisione ed è fondata dunque su un valore radicato nelle nostre comunità sin dai tempi precedenti l’avvento delle nuove tecnologie: il digitale ha abilitato e diffuso questo fenomeno, ampliandone le potenzialità e l’accessibilità”. Si riconosce l’importanza fondamentale della tecnologia dell’informazione e dei social media come pure il fatto che “siamo di fronte anche a un nuovo modello culturale, che ricostruisce l’idea di comunità, promuove la razionalizzazione dei consumi e il contrasto dello spreco di risorse e che proprio in virtù di queste caratteristiche si dimostra ricco di opportunità anche utilizzato all’interno della pubblica amministrazione”.


“È dunque possibile aspettarsi – prosegue la bozza – che la sharing economy nei prossimi anni possa rispondere a bisogni finora rimasti insoddisfatti: esperienze già in atto in Italia e all’estero dimostrano che queste piattaforme innovative, se gestite in una logica di integrazione con il mercato tradizionale e inquadrate in una cornice di norme chiare e trasparenti, possono incrementare l’offerta e ampliare le possibilità per i consumatori, coprendo quote di mercato che altrimenti resterebbero scoperte o non utilizzate e stimolando l’innovazione dei modelli esistenti”.
Uno degli obiettivi è un intervento sulla fiscalità. “Il principale compito che il legislatore deve assolvere è garantire equità e trasparenza, soprattutto in termini di regole e di fiscalità, tra chi opera nell’ambito della sharing economy e gli operatori economici tradizionali e di tutelare i consumatori, in particolare per quanto riguarda gli aspetti legati alla sicurezza, alla salute, alla privacy e alla trasparenza sulle condizioni che stanno alla base del servizio o del bene utilizzato”. Secondo i dati diffusi, la regolamentazione di queste attività consentirebbe di recuperare in Italia circa 450 milioni di euro di Pil corrispondenti a non meno di 150 milioni di euro di maggiore gettito per l’Erario, mentre entro il 2025 si stima un gettito di circa 3 miliardi di euro l’anno.
L’articolo 3 della proposta di legge individua dunque l’Autorità garante della concorrenza e del mercato quale competente a regolare e a vigilare sull’attività delle piattaforme digitali di sharing economy, specificandone le competenze, e istituisce il Registro elettronico nazionale delle piattaforme di sharing economy. Si prevede che le transazioni di denaro avvengano esclusivamente attraverso sistemi di pagamento elettronico e sono stabilite modalità di registrazione univoche per gli utenti e tese a evitare la creazione di profili falsi.
L’articolo 5 della proposta interviene poi sulla fiscalità, con un’impostazione diversificata tra chi svolge una microattività non professionale a integrazione del proprio reddito da lavoro e chi invece opera a livello professionale o imprenditoriale a tutti gli effetti, attraverso l’individuazione di una soglia pari a 10.000 euro. Si legge nell’articolo: “Il reddito percepito dagli utenti operatori mediante la piattaforma digitale è denominato « reddito da attività di economia della condivisione non professionale » ed è indicato in un’apposita sezione della dichiarazione dei redditi. Ai redditi fino a 10.000 euro prodotti mediante le piattaforme digitali si applica un’imposta pari al 10 per cento. I redditi superiori a 10.000 euro sono cumulati con i redditi da lavoro dipendente o da lavoro autonomo e a essi si applica l’aliquota corrispondente”. Ancora: “I gestori operano, in relazione ai redditi generati mediante le piattaforme digitali, in qualità di sostituti d’imposta degli utenti operatori. A tale fine, i gestori aventi sede o residenza all’estero devono dotarsi di una stabile organizzazione in Italia”.

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