Ormai è un dato assodato, oltre che fisiologico: gli ultimi mesi dell’anno si contraddistinguono per un acceso confronto tra le forze sociali e le forze politiche (non a caso da anni si parla di “autunno caldo”). Ma non bisogna avere la tentazione di mettere in discussione i diritti costituzionali e le istituzioni preposte alla loro tutela. Di recente il presidente della Commissione di garanzia, Roberto Alesse ha ricordato l’importanza degli articoli 39 e 40 della Costituzione, che sanciscono la libertà dell’organizzazione sindacale e il diritto di sciopero che “si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”. E’ un tema di stretta attualità: basta guardare alla polemica tra Cgil e Governo sull’esercizio del diritto di sciopero nel pubblico impiego. Dov’è il punto di equilibrio? Si ritorna alla Costituzione e alla legge 146/90, che disciplina l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici, e che resta l’unico esempio di regolazione del conflitto collettivo di lavoro nel panorama generale delle democrazie occidentali avanzate.
La posizione di Alesse è questa: Governo e Parlamento sono liberi di rivisitare la legge, ma devono essere anche consapevoli che essa rappresenta un punto di non ritorno per la salvaguardia di tutti gli interessi che sono in gioco. E lo dimostrano i recenti casi di scioperi negli altri Paesi europei. A cominciare dallo sciopero del trasporto aereo in Germania che ha paralizzato per giorni, e senza regole, la mobilità dei cittadini nei cieli d’Europa. Ma anche i casi di Grecia, Spagna e Francia hanno dimostrato, negli ultimi anni, che la carenza di una disciplina in materia di diritto di sciopero può bloccare, senza preavviso e durata, interi servizi pubblici essenziali e con essi i diritti dei cittadini utenti. Uno scenario che in Italia non si verifica ormai da 25 anni: la legge, quindi, ha funzionato e il conflitto collettivo, seppur elevato, si mantiene nella legalità.
Sul piano giuridico il diritto di sciopero, riconosciuto dall’art. 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, è garantito espressamente in molte Costituzioni europee: in quella francese del
’46 (cui peraltro si è ispirata su questo punto quella italiana del ’48), nelle Costituzioni di Spagna, Portogallo e Grecia. In altri Paesi, come Belgio, Finlandia, Austria e Germania, il diritto di sciopero viene fatto desumere implicitamente dalla libertà costituzionale di associazione (quindi è lasciato alla giurisprudenza). In alcuni Paesi, come Belgio, Italia e Francia, il diritto di intraprendere azioni collettive è un diritto individuale, mentre in Germania, Grecia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Svezia deve essere esercitato dalle organizzazioni sindacali.
Tutti i Paesi prevedono limiti e restrizioni al diritto di intraprendere azioni collettive. Tali limiti generalmente giustificati sulla base del bilanciamento con altri diritti ritenuti di pari dignità costituzionale possono riguardare gli obiettivi, le modalità e i metodi, i settori. Rispetto ai primi, la maggior parte dei Paesi europei vieta lo sciopero politico, ritenendo il conflitto legittimo solo se finalizzato a obiettivi economico-contrattuali. Fanno eccezione la Danimarca, la Norvegia e l’Italia. Da noi lo sciopero “politico”, ammesso da una sentenza della Corte Costituzionale del
1974, è inteso come libertà e si collega agli scopi di uguaglianza (previsti dalla Costituzione).
Lo sciopero di solidarietà, svolto a sostegno della lotta intrapresa dai lavoratori di un’altra unità produttiva o di un altro settore, è legale in quasi tutti i Paesi, se vengono rispettate alcune condizioni. Non è consentito nel Regno Unito e in Olanda. In Gran Bretagna sono oggi considerati illegali sia lo sciopero politico che quello di solidarietà. In Germania ed in Italia le norme che regolamentano le azioni di solidarietà sono piuttosto complesse. In Spagna, la legalità delle azioni deve essere stabilita caso per caso. Lo sciopero mirato a rallentare l’attività lavorativa, come forma legale di azione collettiva, si ritrova in Finlandia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Svezia e Regno Unito, mentre è vietato in Belgio, Danimarca, e Francia. Lo sciopero bianco è illegale in Danimarca, Francia e Norvegia ma può essere intrapreso a Cipro, in Finlandia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Olanda, Spagna, Svezia, e Regno Unito. Lo sciopero dimostrativo è consentito in Bulgaria, Cipro, Estonia, Germania, Ungheria, Lituania, Polonia, e Romania. Nella maggior parte di questi Paesi la legittimità di questa forma di sciopero è soggetta a limiti di durata. In Irlanda e Regno Unito tutte le azioni collettive sono in linea di principio illegali; tuttavia, in virtù di disposizioni che garantiscono l’immunità in alcune determinate circostanze, le relative forme di azioni sono ritenute legali. Le azioni di tipo secondario a livello internazionale sono considerate legali in Belgio, Grecia (a certe condizioni), Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia e Svezia.
Limiti e regole allo sciopero possono trovarsi in disposizioni di legge o nei contratti collettivi e fanno per lo più riferimento a periodi di preavviso, a referendum tra i lavoratori da svolgersi prima di intraprendere lo sciopero e a procedure di conciliazione. L’obbligo di preavviso ha una tempistica molto diversa da Paese a Paese e può variare tra le 24 ore ed i 7 giorni o persino 14 giorni prima dell’inizio dell’azione. L’obbligo di indire un referendum può essere individuato nella legislazione oppure, come in Danimarca, nei contratti collettivi o ancora, come in Germania e nei Paesi Bassi, può essere sancito dagli statuti dei sindacati. Alcune procedure di composizione delle controversie devono essere rispettate od intentate prima che l’azione collettiva sia intrapresa. E’ questo il caso di Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Ungheria, Islanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Polonia, Romania, e Slovenia.
In alcuni Paesi, l’esercizio allo sciopero può essere posticipato per un certo periodo di tempo. Questo è possibile in Estonia, Finlandia, Norvegia, Spagna e Svezia, su decisione del Governo, del Ministro del lavoro o del Parlamento a seconda delle norme nazionali vigenti.
Nella maggior parte dei Paesi membri dell’UE, il fatto di interrompere la prestazione lavorativa al fine di prender parte ad uno sciopero non implica più la violazione del contratto di lavoro (i due principali obblighi che derivano dal contratto, ovvero prestazione lavorativa e retribuzione, sono sospesi). La partecipazione ad un’azione collettiva è considerata ancora una violazione in Austria, Danimarca, Irlanda, e Regno Unito. Uno sciopero illegale può condurre al licenziamento dei lavoratori che vi hanno preso parte o all’obbligo di risarcire i danni arrecati.

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