A poche ore dall’annuncio della strategia sul Digital Single Market, si sono sollevati i primi dubbi e le prime critiche alle azioni proposte da Bruxelles: il timore principale è quello di trovarsi con un eccesso di regolamentazione che non farebbe altro che intralciare ancora di più la crescita di un’economia digitale europea. Ma c’è anche il capitolo che riguarda le delicate riforme di privacy (che va avanti da due anni, senza risultati) e copyright, giudicate da alcuni poco ambiziose. Dubbi, infine, sui tempi di attuazione di diversi provvedimenti inseriti nel pacchetto, soprattutto nel campo delle infrastrutture di telecomunicazioni.

Attivisti e associazioni dei consumatori rimproverano alla Commissione europea di aver fatto dietrofront sull’abolizione del geo-blocking, mettendo quindi da parte la prospettiva di un’eliminazione completa delle barriere che limitano l'accesso ai contenuti digitali a seconda del paese di residenza, ma la circoscrive ai casi in cui è “ingiustificata”. Il rischio è che il geo-blocking rimanga un elemento di fastidio nel quotidiano dei cittadini europei.

C’è poi chi critica la mancanza di indicazioni e dettagli su come si vuol creare un quadro armonizzato in materia di diritto d’autore: in poche parole la Strategia non offre indicazioni su come la riforma sarà realizzata nella pratica.

Industria digitale e attivisti digitali guardano inoltre con sospetto all’ipotesi d’introdurre il cosiddetto “duty of care” per gli intermediari online: si tratterebbe dell’obbligo per telco e piattaforme digitali di monitorare, filtrare o rimuovere i contenuti illegali o che violano il diritto d’autore. Misura che potrebbe destabilizzare il delicato equilibrio tra libertà di parola, economia aperta e preoccupazioni pubbliche sulla sicurezza.

L’altro punto critico è quello relativo alla regolamentazione delle piattaforme digitali. La Commissione europea ha deciso di accontentarsi, per ora, di avviare un’indagine preliminare che dovrebbe valutare “aspetti quali la mancanza di trasparenza dei risultati di ricerca e delle politiche in materia di prezzi, le modalità di utilizzo delle informazioni ottenute, le relazioni tra piattaforme e fornitori e la promozione dei propri servizi a scapito dei concorrenti, nella misura in cui tali aspetti non siano già trattati nell’ambito del diritto della concorrenza”. Ma non è ancora chiaro se dagli esiti dell’inchiesta potrà scaturire una proposta legislativa vera e propria.

Su questo punto c’è un braccio di ferro tra diverse visioni (una più affezionata ai temi Antitrust, l’altra più liberista),  che si rispecchia in due fronti: da un lato i Paesi che vogliono combattere lo strapotere di colossi come Google, Apple e Amazon (ad esempio Francia e Germania) proponendo un quadro regolatorio intransigente; dall’altro c’è il fronte dei paesi scandinavi e baltici, più Olanda e Regno Unito, che temono che una stretta regolamentare sulle piattaforme possa penalizzare soprattutto i soggetti più piccoli e legalmente meno attrezzati.

Infine, la questione della tempistica: la Commissione ha posto come obiettivo il 2016, ma il calendario per le riforme, secondo alcuni, è confuso e troppo affollato da far temere un ingorgo legislativo che potrebbe tradursi in un pesante ritardo sulla tabella di marcia. C’è da considerare, per esempio, lo stop subito dal pacchetto della Kroes sul Telecoms Single Market, il cui iter di adozione si è di nuovo inceppato e, per il momento, è rimandato al 2018. Il pacchetto è stato presentato dalla Commissione nel 2007 e forse terminerà l’iter solo quest’anno, dopo aver superato divergenze all’interno della Commissione stessa, essersi scontrato con posizioni opposte di Consiglio e Parlamento sulla fine del roaming e sulla neutralità della rete. E ancora non è chiaro quale sarà il compromesso risolutivo. La riforma dello spettro poi è assai complicata: probabilmente l’anno prossimo i tempi saranno più maturi, per esempio per liberare le frequenze 700 MHz dalla tv in favore della banda larga; cosa che andrà fatta tra il 2018 e il 2020 secondo accordi internazionali tra gli Stati membri. Ma gli interessi in gioco sono tanti e non è detto che vada tutto liscio.

Esperti analisti sostengono quindi che le scadenze indicate dalla Commissione per il 2016 riguardano essenzialmente passaggi intermedi: analisi, studi, rapporti, confronto tra gli stakeholder, raccomandazioni e leggi, richiederanno tempi più lunghi. Ci vorranno almeno 3 anni perché il testo normativo - che deve ancora uscire dalla Commissione - passi poi al vaglio incrociato di Consiglio e Parlamento UE per quelle che sono indicate come “proposte legislative”.

“Auspichiamo che l’armonizzazione del mercato digitale negli Stati membri avvenga realmente nei tempi e nei modi indicati dall’UE, nell’interesse dei consumatori – ha detto Fabio Picciolini Presidente di Consumers’ Forum, nell’ambito del convegno organizzato a Roma in collaborazione con il Consiglio Italiano del Movimento Europeo,  dal titolo  “Un trio a metà percorso. L’Unione europea nelle riflessioni e proposte delle tre Presidenze semestrali a guida del Consiglio (2014 - 2015)”. “Parimenti auspichiamo che in parallelo cresca e si rafforzi un sistema sempre più omogeneo delle norme di protezione dei diritti dei consumatori, nello specifico dei diritti di questi nuovi consumatori, sempre più digitali e connessi e senza confini” ha concluso Picciolini.

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